Questo è il motivo principale per cui “Davvero” di Paola Barbato è una merda.
L’idea è buona.
Peccato che io mi sia rotto il cazzo al numero 20.
Facciamo l’autopsia.
La protagonista
Martina infrange subito la regola del “mai completo ritardato“. E’ una donna di una pusillanimità insopportabile. Non ha talento, non ha idee o ideali, non è bella né brutta, non è troia né santa, non ha voglia di studiare ma non ha nemmeno altri interessi, non sa gestirsi i soldi ma è ricca, non sa interagire con le persone ma continua ad avere amici, non ha coraggio ma non ha sfortuna. Più che non ha, Martina proprio NON E’. Che esista o meno non se ne accorgerebbe nessuno, se non fosse che frigna di continuo per qualsiasi cosa. E’ come se avessero preso una comparsa che fugge nelle esplosioni di un film e le avessero dato il ruolo della protagonista. La detesti dal primo momento.
I personaggi secondari
Ogni singolo paio d’occhi disegnato nel fumetto fa di tutto per non farsi ricordare. Il fatto che ogni numero cambi disegnatore non aiuta. Tutti parlano nello stesso modo, hanno lo stesso fisico ed hanno tutti dei caratteri insopportabili. Fanno e dicono le cose più illogiche possibili nelle situazioni più banali, tipo: appartamento universitario, finalmente arriva una tizia che può pagare quello che manca dell’affitto occupando la stanza libera. Bene, i coinquilini fanno subito a gara tra mandarla a cagare, insultarla, deriderla o ignorarla. Così, per darle un’utilità. Un tipo le taglia i capelli con la forbice. Tra questo mare di nulla spunta l’amica zoccola – deve esserci – che però ha il padre oppressivo e violento. Come si risolverà L’UNICO CONFLITTO DI TUTTO STO CIRCO DEL MEDIOCRE?
In tre vignette.
Dal nulla appare un ex ricchissimo e potentissimo e agganciatissimo che parla e si comporta come tutti gli altri personaggi ma le salva portandole in un attico superwow, dove queste due stronze riescono a lamentarsi ancora del fatto che lui sì, è bello ricco famoso stimato ed inserito nel mondo della moda, ma non le lascia essere libere di essere quello che sono.
L’alternativa
L’unico modo per risollevare questa sottospecie di Grande Fratello del ritardo mentale sarebbe un fumetto parallelo. Immaginatevi il padre di Roberta protagonista che deve ingegnarsi per trovare e terminare la figlia puttana. Si potrebbe ricostruire tutto il casino che quel poveraccio deve fare per trovare Roberta; poi quando ce la fa prima si trova una bionda armata di forbici, poi entrambe vengono aiutate da un nemico molto più forte, bello, giovane e ricco di lui. Il padre tuttavia non si dà per vinto, gira per i posti peggiori a caccia d’informazioni, divorzia, s’indebita per pagare un investigatore privato che però viene prezzolato dal bamboccio miliardario per dargli informazioni fasulle.
Incrociamo la sua storia a quella dell’ispettore Locascio, poliziotto idolatrato per il brillante intuito e l’indiscussa capacità, ma che di notte adora percuotere la moglie se non gli fa il Martini come si deve. Quando si mette sulle tracce del padre di Roberta capisce che la missione dell’uomo è sacrosanta, ma nessuno può farsi giustizia da solo.
Il padre di Roberta non ha molto tempo, i soldi scarseggiano e Locascio è già sulle sue tracce.
Se qualcuno del settore è interessato i diritti vengono via con poco.