Per la visibilità va benissimo anche la luce dell’obitorio

Uno dei motivi per cui il popolo della rete non sarà mai elevato oltre il rango di “scimmie che berciano defecandosi addosso” è la sua capacità di rinnovarsi. La rete è un torrente di diarrea il cui suono affascina ed ipnotizza: sempre uguale, ma sempre diverso. Non è strano. La bellezza stanca presto, l’osceno invece è immortale. Prendete il film 300: vi ricordate Leonida e basta. Nell’esercito di Serse ci ricordiamo i grassoni con le mani a coltello, le lesbiche sfregiate, il gigante handicappato, la mutilata ingioiellata e soprattutto la capra col mandolino che meritava almeno una nomination agli Oscar.

Quando la Costa Concordia è affondata ci sono state famiglie che non sapevano se i loro fidanzati, i loro figli (o i loro cani, così empatizzate meglio) erano vivi o morti. Ci sono stati atti di eroismo ed altruismo, storie grandiose nella loro umanità. Sacrificio, coraggio, amore, tenerezza, empatia, abnegazione. Non solo tra le forze armate intervenute, ma tra persone qualsiasi che trovatisi lì hanno dato prova di immenso coraggio.

Di cui parlano di striscio solo alcune testate.

La stragrande maggioranza della rete ha preferito lavorare alla parodia di una telefonata tra De Falco e Schettino, un militare che dal proprio ufficio latra ordini ad un civile sotto shock e mezzo assiderato diventa “un eroe”, un “modello per tutti”: oh, se solo i nostri politici fossero come De Falco, piange la rete, se solo fossimo governati da uomini che non hanno idea della situazione in cui ci troviamo e pretendono sacrifici che non siamo in grado di fare. Nell’eccitamento generale donne si sono fotografate seminude con scritto “De Falco sposami” o “andiamo tutte a darla al comandante De Falco“. Poi suonerie, magliette, meme divertentissimi, remix originalissimi in un crescendo di strilli eccitati; contemporaneamente sull’isola del Giglio persone morivano di ipotermia chiuse dentro cabine di acciaio senza finestrini o affogavano nel buio sentendo l’acqua che entrava e le voci fuori che sparivano fino a lasciarli soli.

C’è qualcosa di male in questo?
Boh. Però se non puoi far nulla, tanto vale riderci su.

La diarrea comincia a sbordare dal vasino quando arriva la solidarietà,  ossia l’egocentrismo patologico delle scimm del popolo della rete che per avere un riflettore addosso non esiterebbe a strapparlo dalle mani di un anatomopatologo al lavoro. Oggi con il terremoto Twitter è intasato di stronzi qualsiasi che maiuscoleggiano “RETWETTATE!!”, verbo che su Facebook è “condividi”, ed ai tempi delle catene di Sant’Antonio era “spedisci”.

– Ho appena copiato i numeri utili dal sito dell’ANSA, mi retwettate per piacere? #terremoto
– Ciao Barbara d’Urso sn una tua grande fan, mi retwetti? Numero utile per #terremoto 98690965654
– Invento una cazzata tipo finti tecnici sciacalli per farmi retwettare, tanto chi cazzo verifica? #terremoto
– PRONGOPO 1 MIN D SILENZIO IN TV X LE VITTIME DL TREREMOTO RETWETTATE!!!!!!
– Spinoza.it (e soprattutto gli emuli).

Lo scopo rimane quello di gettarsi sopra il cadavere, sporcarsi di sangue e farsi l’autoscatto su Instagram sperando questo raggiunga gli occhi di quanta più gente possibile, magari VIP. Una specie di cavallo di Troia della merda.

E’ quindi d’uopo aggiornare biografia (aggiungendo new journalist) e foto profilo (tre quarti dall’alto invece che scarpe da zoccola), pulire dove passa il prete, togliere i copridivani e tirare fuori le posate buone. Così si raggiungono picchi straordinari di solidarietà: se sei stato retwettato più di cinquanta volte e dei giornalisti ti seguono puoi dirti soddisfatto. Hai contribuito attivamente a questa immane tragedia che tutti paralizza e sgomenta. E ora via, a salvare il mondo altrove. Internet non dorme mai.