La bambina nel bosco (3/4)

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[Puntata 1] – [Puntata 2]

Travestirsi non è mai una buona idea.
Non puoi simulare la faccia, lo sguardo, la camminata, il modo di respirare e l’atteggiamento di chi certa roba la vive ogni giorno. Ti sgamano all’istante. Inoltre sospetto sia illegale, ma un uomo non può badare proprio a tutti i dettagli. Pensare è sbagliato a prescindere. Rifletti abbastanza su qualcosa e troverai sempre un motivo per non farla. Quando la patta chiama, per esempio, un adolescente si informa su qual è l’ultimo punto di vista del Governo italiano sul meretricio? No. Getta alla nobildonna i danari, le tràpana il monte di Venere e fugge nella notte con o senza lampeggianti all’inseguimento.

Pensare è l’inizio della fine.

I Greci s’inculavano di tutto, uomini, donne, pollame, bambini, statue ed erano felici. Lavoravano, facevano la guerra e poi andavano a scoparsi un tonno spiaggiato e ci scrivevano una poesia. Non capisco una società in cui si passa più tempo a definire la propria identità sessuale che a metterla in pratica. Voglio dire, nel tempo che uno impiega a capire se è un biomaschio cis pan gender etero queer avada kedavra o un maschio trans queer ultra gender pansexual megatron, qualcuno si sta trombando la mastoplastica additiva che doveva trombare lui.

Quindi non penso a quanto sia sbagliato o difficile entrare. Esco di casa, prendo il treno, arrivo nel ridente paesino di provincia e mi presento all’indirizzo dell’istituto. Ha forma, dimensione e giardino degli ospedali del 1900. Cancello in ferro battuto a due ante, un vialetto di ghiaia che conduce a un portone di legno. Suono il campanello, c’è un BEEEEEEEE-TLACK. Entro nell’ombra fresca di un corridoio di marmo reso lucido da milioni di passi. Tra me e il cortile interno c’è una suora dietro un bancone di legno.

«Buongiorno, sorella» dico «vorrei fare visita a una vostra paziente.»
«È parente?»
«Siamo tutti figli di Dio» dico.

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Non importa se sei una suora o una prostituta: con la vagina, la Natura ti ha dotata anche de Lo Sguardo®. Il segnale di esplosione uterina imminente. Se avviene, l’energia è tale da distorcere le leggi della fisica e teleportare il maschio nel Clitoverso, un non-luogo dove tempo, spazio e soprattutto logica non esistono. Appariranno frasi dette sessant’anni prima, mentre quelle dette cinque secondi fa avranno senso opposto. Piatti e oggetti inizieranno a volare come in un poltergeist. Verranno pronunciate frasi occulte che più cerchi di capire, più diventano “niente” fino a non essere mai state pronunciate. Lo Sguardo® ti avvisa che il varco si sta aprendo. Arretro e alzo le mani: «E-era una battuta.»
«Se non è parente non può entrare.»
«No. Però…»
Secondo sguardo: «Ho detto no.»
Esco.
Dopo due birre ho un’idea.

Tuuuut.
Tuuuut.
Tuu-
«Seh.»
«Don Giansandro, non so se si ricorda di me. Sono Nebo. Ero quello del Gazzettino, ci siamo conosciuti nel 2006 perché…»

Tutto era iniziato da Vania, una fervente nazifemminista. Prima linea nella difesa dei diritti delle donne, militante in politica e pronta a denunciare sessismo, prevaricazioni e maschilismo. Purtroppo il marito scoprì che nottetempo Vania intratteneva una fitta corrispondenza digitale con personaggi dell’ambiente fetish da cui adorava essere sottomessa e umiliata. Scoprire che tua moglie di giorno non succhia perché è degradante e di notte si fa pisciare in faccia con un cetriolo nel culo mostra di che tempra è fatto un uomo. Lui la prese benino: si limitò a comprare una tanica di benzina, ammassare le masserizie della moglie in giardino e dargli fuoco.

Purtroppo non aveva calcolato il vento.

Le scintille piovvero nel giardino di don Giansandro, dove sorgevano piante di cannabis alte e rigogliose. Il fumo dall’odore inequivocabile catturò l’attenzione di qualsiasi forza dell’ordine da qui a Reggio Calabria e il pomeriggio si concluse con pompieri, ambulanze e lui asserragliato in casa che minacciava gesti sconsiderati. Venne snidato a tarda notte dai NOCS con una flashbang e due cazzotti. I giornali però non raccontarono questa versione. Don Giansandro era uno ammanicato con le ACLI. Oltre trent’anni della stessa amministrazione, a Venezia, avevano creato alleanze, amicizie e accordi che per ovvie ragioni si ramificavano ai vertici delle principali testate regionali. Quindi l’incendio meritò un articoletto vago in quinta pagina.

E chi lo scrisse per 1,50 euro?

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«AHSISISISI, ricordo» dice Don Giansandro «se mi chiami per il Compro oro però ne parliamo a voce, sei a Mestre?»
«No, non la chiamo per… scusi, lei ha un Compro oro?»
«Sì, non sono più prete. Allora che vuoi?»
Gli spiego.

«Hm» tira su col naso «non è facile. Cioè, posso provare a chiamare io, ma le suore… hm. Verificano. L’unica che mi viene è chiamare Favazzi. Lui ti fa lo sgamo sicuro.»
«Chi?»
«Uno dell’UDC, che mi deve… hm. Facciamo così, questo è il tuo numero?»
«Sì.»
«Ti richiamo.»

Ho finito di pranzare in un bar quando ricevo un sms che mi dice di recarmi in un punto della città alle 15. Con Google maps ci metto 20 minuti a piedi e mi trovo in una piazzetta deserta dove c’è solo un ragazzino di quindici anni con pantaloni a pannolone e Converse. Mi viene incontro con l’aria addormentata, verifica che io sia chi dovrei essere e si qualifica come Marco.

«Mio padre mi ha detto che lei mi dava 50 euro se la accompagnavo a trovare mio nonno dalle suore.»
«Ma a me interessa una donna» dico, tirando fuori i soldi.
«Eh, io la porto dentro, poi lei va dove vuole.»

 

 

 

 

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«Ancora lei?» dice suor Rambo.
«S-sono qui per accompagnare il minorato. Il minore.»
«Seh, seh, voglio vedere il nonno» dice lui, ciancicando una gomma.
«Come si chiama tuo nonno?»
«Eeeh…» fa Marco, mordendosi le labbra «Gino. No, Lino Bareson.»
«Va bene. E lui chi è?»
«Un amico di suo padre» dico.
Marco annuisce e ciancica: «Di mio padre.»

«Vi accompagno» dice alzandosi.
«Non serve.»
«Oh, eccome se serve.»

Usciamo nel porticato, prendendo una scalinata che scende su un vialetto coperto da aghi secchi e ghiande. Statue di cemento divorate dal muschio e un giardino incolto. C’è una curva. A sinistra un gruppo di persone sulla cinquantina lavora a un orto.

«Sorella» dico, con una smorfia «non c’è un bagno?»
Tentenna spostando gli occhi da me al minorato: «Si crede molto furbo, vero?»
«No. Devo solo cagare.»
Marco sbuffa una risata. Suor Rambo no.

«Dentro, sulla destra. La aspettiamo qui.»
Buona fortuna, penso. Poi fuggo nella selva.

 

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Uscito dal loro campo visivo viro a destra e finisco su uno spiazzo circolare con una fontanella e un edificio di due piani, scrostato, incorniciato dai cipressi. Il portone non viene chiuso da anni. Leggo una vecchia targhetta “reparto malattie infettive”. Non ci sono auto, cantieri, trilli di cellulari, clacson, musica. Solo cicale, tortore che tubano, il frusciare degli alberi e il gorgogliare della fontanella. Due farfalle bianche si rincorrono. Quasi m’aspetto di vedere i poster della DC, le pubblicità della Fanta e un maggiolino parcheggiato.
Sono nel 1950.

«Si è perso?» dice un uomo pasciuto e un po’ storto arrancando verso di me: «succede a tutti. FROCIO!»
Cos’ha detto.

 

 

 

«…scucos’ha detto?»
«Chiedevo se si è perso.»
«Sto cercando Reaper.»
«Rea? Di solito a quest’ora è nell’orto. Le spiego, questa è la piazzetta STRONZO! lei deve andare NEGRO! NEGRO! FROCIO! verso le statue, poi gira a destra VAFFANCULO! e prosegue per una ventina di metri CAZZO! MERDA! ci sa arrivare?»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

wtf5Statue… piazzetta… negro… arrivare…

 

 

 

 

 

«…mi ha insultato?»
«No, perché? STRONZO! Se non ci sa arrivare MMMERDA! posso accompagnarla io MMMMERDA! Non è» si interrompe, gira la testa a destra, incassa il mento nella spalla e la rimette dritta facendo una smorfia con gli occhi storti: «CAAAAAAAAAAAA-ZZO distante.»

«M-magari è meglio di no.»
«Venga, venga, CAZZO! VAFFANCULO! non ci metto niente.»

Camminiamo sotto il sole. Adesso le cicale sono coperte da un tornado di bestemmie potenza 10, oscenità e insulti razzisti. Esso è il mio degno araldo, penso. Attraversiamo cespugli quadrati e ben potati, ghiaia bianca, aiuole di fiori, fontanelle. C’è una donna esile con un vestito a fiorellini, grembiule e stivali di gomma. È di spalle, chinata su un cespuglio di ortensie rosa.

«Reaper!» chiama l’araldo.
«Sì?»
«TROIA!»

 

 

 

«Cosa c’è, Cesare?» sorride lei come niente fosse.
«Questo signore ti cerca.»
«Me?» fa Reaper, facendo un impercettibile passo indietro.
«Sì. Sono Nebo» dico tendendo la mano.
Lei non la prende: «Come ha fatto a sapere che ero qui?»

La voce di chi doppia è sempre diversa da quella che usa per lavorare. Puoi sentire una vaghissima assonanza se ci presti attenzione. Non sarò uno dei tanti imbecilli che appena conosce un doppiatore esige dimostrazione. Conoscere dei fumettisti mi ha insegnato quanto possa essere irritante qualcuno ti chieda di dimostrare quello che sei senza motivo.

«PUTTANA! BOCCHINI! MERDA! Vi lascio parlare. Se dopo ha bisogno di aiuto per uscire…»
«Basta seguire la voce» dico.
L’araldo sorride senza capire, spara due madonne, se ne va. Quando torno a guardare Reaper ha occhi tutt’altro che felici.

«Senta, non voglio disturbarla. Anzi, temo di avere i minuti contati» dico, perlustrando i paraggi in cerca di suor Rambo «sono uno sceneggiatore. Vorrei proporle un lavoro.»
«Io non lavoro più.»
«Lo so. Ma credo che se leggesse questa potrebbe cambiare idea» dico, porgendole la sceneggiatura. Lei allunga la testa nello stesso modo di sua madre. Ha un istante di esitazione: «No, la porti via.»
«Per favore. Le chiedo solo di leggerla. È il mio primo film.»
«Se le dico di no, è no.»

«STRONZO! STRONZO! STRONZO!» grida l’araldo da qualche parte, non so se alle cicale o alle peonie. Se quando ho fatto assistenza disabili avessi avuto dieci uomini come Cesare, oggi sarei al comando della nazione.

«Ok, gliela racconto a voce» dico, sedendomi.

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«A voce» ripete Reaper, mettendosi le mani sui fianchi «un bel rischio.»
«Perché?»
«Le parole rovinano anche le storie migliori.»
«Non se le pronuncia lei.»
Le si alza un sopracciglio, poi l’altro, poi le spunta un mezzo sorriso: «Hm. È allegra, almeno?»
«È molte cose.»

Reaper si toglie i guanti, li appoggia sull’erba e ci si siede sopra. Aggroviglia gambe e piedi in quel modo simile a una radice, si mette le mani in grembo, il viso mezzo in ombra e mezzo al sole: «Va bene, sentiamo questa storia.»
Prendo fiato.
«Tutto quello che sto per dirle è successo davvero.»
[continua e finisce nella prossima puntata]