«Pronto?»
«Eeh… buongiorno, sono Nebo, c’è Francesca?»
«…momentoFRANCEEEESCAAAAAA!! PER TEEEEEEH!»
Se volevo parlarvi dovevo parlare prima con vostra mamma.
I momenti di imbarazzo si sprecavano quando l’altrui intimità familiare ti veniva sparata in faccia. A volte oltre a riferire l’identità del chiamante il genitore aggiungeva qualche nota personale: guarda che c’è il tuo amico negro, c’è quello dei compiti, il grassone, il magrolino, lo sfigato, quello ricco, eccetera. Lo urlavano con la cornetta appoggiata alla spalla per far sì che non si sentisse. Non funzionava. La telefonata doveva essere fatta nell’ora giusta che non prendesse il pranzo né il riposino pomeridiano del fratellino minore, piccolo figlio di puttana dall’udito ipersviluppato che adesso fiuta ultrasuoni alla NASA. Tuuuut, tuuut, se quando rispondevano c’era in sottofondo un frignare stridulo avevi perso.
Pareva l’allegro chirurgo.
«Pronto?»
«CIAOCHECCA, SONO N»
«Hai svegliato mio fratello e mia madre è arrabbiata, ci risentiamo»
Click.
Fin da piccoli siamo stati addestrati ad essere invadenti. Sapevamo combattere il senso di colpa e l’imbarazzo. Era normale, capitava di continuo. Suonare il campanello la sera a casa di tizio, svegliare un qualche fratello, era parte della comunicazione. Si saltavano preamboli tipo ciaocomestaibenegrazietu e blaaah blaaah: ci si trovava in gelateria alle 15 o in pizzeria alle 19.30.
Poi è arrivato il cellulare.
E’ arrivato Internet.
E Facebook.
Facebook l’ha inventato uno studente americano per riprendere contatto con i suoi vecchi compagni di classe. Dire al telefono “pronto” gli faceva una fatica terribile, così ha preferito progettare un software ed aspettare si diffondesse nel mondo sperando che, un giorno, uno dei suoi vecchi compagni lo notasse, vi si iscrivesse e coinvolgesse così a macchia d’olio ogni singolo essere umano rendendo possibile collegare ogni individuo e SI, HAHAHA, DOMINARE IL MONDO, HAHA HA HAHAHA HA HAHA HA HA HA HAHAHAHAHAHAHHAHA!!
Nel mondo reale non c’è Bruce Willis a rompergli il culo, così vincono i cattivi eFacebook ha un successo stellare. Il record di iscrizioni è detenuto, manco a dirlo, dall’ Italia. Comunista o fascio, fighetto o sbregone, truzza o cagona, minorenne emo o scacato imprenditore, zoccola spudorata o suora, tutti sono dentro questo meraviglioso mondo virtuale la cui utilità è “risentire i miei vecchi compagni di classe”.
Hm.
Abbiamo cellulari, email, myspace, msn, skype, blog, weblog, mediablog, siti personali, elenchi telefonici, forum, chat, motori di ricerca, posta, corrieri espressi e in vent’anni non siamo riusciti a contattare uno di questi ex compagni di classe la cui famiglia abita a quaranta metri da casa nostra. C’era bisogno di questo software rivoluzionario che ci permettesse di svolgere la seguente conversazione:
«Sei cambiato, ora che fai?»
«Lavoro»
«Anch’io»
E’ come costruire una portaerei nucleare per giocarci a golf.
Invece di prendersi una birra in un locale queste persone passano giorni chiusi in una stanza al buio a dire che stanno facendo quattro chiacchiere. Dicono che è per non annoiarsi al lavoro. Che è come MSN. Che loro non seguono la moda. Che smettono quando vogliono. Tipo quelli che guardano i reality per parlarne male. Tipo gli italiani che erano tutti partigiani. La domanda è PERCHE’. Cosa spinge persone agli antipodi ad unirsi in questa specie di Second Life?
Bèh, per molti è la possibilità di essere quello che non si è in maniera molto più pratica che truccandosi, vestendosi, cotonandosi e staccandosi dai tramezzini tonnoeuova. E’ una abitudine nata con myspace che ha scatenato casi eclatanti.
Per altri – pochissimi – c’è la motivazione lavorativa e vabbè, gente di spettacolo che ci campa e l’affitto a casa dobbiamo portarlo tutti.
Ma tu sei lì con tutti gli amici che insistono dicendo “guarda, ci sono tutti, ci sono anche le tue ex” e dentro IMPLODI perché se una storia d’amore finisce significa che FINISCE. Hai un bel ricordo di voi due. Di quando stavate insieme. Di quando vi bastava il profumo della pelle per eccitarvi. Non volete vedere che a distanza di anni quella donna si è trasformata in una federa per cazzi che sta frequentando le peggio bestie urlatrici, è costantemente sbronza e reputa figo o ggggiovane farsi vedere mentre barcolla a Ibiza vomitando in una fontana del cazzo.
Io di Facebook e dei social network ho notato questo: nessuno ha un cazzo da dire. Niente. Ci fosse un discorso od un qualcosa, nulla. Maree di gruppi aggregativi, oceani di punti esclamativi, un deserto pieno di foto a tre quarti dall’alto, olocausto mentale dove si fa di tutto per mostrare che ci si diverte e ci si assicura di documentare tutto e di pubblicarlo.
Non solo per il paradosso sulla privacy (su cui sarebbe da rotolarsi dalle risate), ma pare che il numero dei mezzi di comunicazione sia inversamente proporzionale ai concetti da esprimere. In tutta ‘sta orgia di inviti e risate e sorrisi e amici vecchi e nuovi che vogliono, chiamano, chiedono di iscriversi in questo mondo delle meraviglie m’è venuta in mente quella vecchia canzone di Raf.
Il più grande social network disintegrato da un testo del 1991.