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Dai finestrini dell’Eurostar vivere in campagna è bellissimo

 
 
Molti durante un viaggio hanno visto case abbandonate nel nulla e hanno detto “sai che bello sarebbe vivere lì”. Riempiamo i nostri desktop di immagini bucoliche, vedute paradisiache di panorami campestri che ricordano lo spot del Mulino bianco. Campagna, un mondo dove le cose sono semplici e genuine, le famiglie sono unite, dove c’è qualcosa da fotografare oltre ai gatti e ai nostri piedi. La campagna per noi è una specie di Paradise beach di Dark city: basta sapere che c’è, non importa andare a vedere se esiste o se somiglia davvero a come ce lo immaginiamo.
 
Ma così come le ammucchiate su youporn sarebbero molto meno cliccate se si sentissero anche gli odori, così la campagna è bella finché non ci vivi. 
 
Poi le cose cambiano.

Basta con la solita spiaggia, quest’anno andiamo sulla strada della morte

Bolivia. 

Un paese affascinante di cui non sa un cazzo nessuno.

Uno storico una volta disse che ogni nazione, nella storia, trova un modo per farsi conoscere dalle altre. L’Italia ha avuto il rinascimento, la Germania il nazismo, la Romania le romene, il Giappone le katane, l’India il pollo al curry e la Grecia la crisi economica. Il marketing per una nazione è importante. Guardate Osama. Si vestiva di bianco e faceva l’hippy, poi allargavano l’inquadratura e c’aveva un RPG sulle palle. Sono quei dettagli che catturano l’attenzione, stregano, ammaliano, convincono e vendono.

 
Oggi se state salendo su un aereo per New York e vi dicono che il pilota è afghano cosa fate? Mollate il posto senza avere diritto al rimborso. La compagnia fa salire quelli che ha overbookato e voilà: 120 persone a bordo, 240 biglietti venduti.
 
Marketing, tutto marketing.



 
La Bolivia invece ha partorito quei buffi personaggi vestiti a pixel che suonano la canzone di Titanic coi flauti MIDI tra le bancarelle. Li si distingue dai nativi americani perché i boliviani hanno cappelli simili ad una schermata di Commodore 64, mentre i nativi americani vendono t-shirt nere anni ’80 con lupi e indiani depilati. Non ci siamo, ostia. Se vuoi portare gente (che siano truppe d’occupazione o meno) serve qualcosa che svecchi l’immagine da etno grunge che ti tiri dietro da anni. 
 
Cosa c’è da vedere in Bolivia?
Bè, a patto non siate dei biologi o degli schioppati ancora in fissa con gli Intillimani, nulla. In Bolivia c’è solo la Bolivia, ettari ed ettari di foresta, ragni giganteschi, narcotrafficanti col machete e una cucina agghiacciante. 
 
Allora cosa t’inventi? 

Ve lo dico io: la strada della morte.


 

 

 
 

Già suona meglio, no? 



Già c’è sintonia, c’è voglia, c’è swag, c’è stile, aggressività, carisma: la strada della morte è un nome assolutamente giovane, per tutti quei ricchi coglio ragazzi dinamici che vogliono sfidare i propri limiti, assaporando l’ebbrezza dell’adrenalina e raccontarlo agli amici che invece hanno preso il sole per 15 giorni a Jesolo.

 
La strada della morte, o Yungas road, è un’incisione di terra sul costone di una montagna lungo 63 chilometri che collega La Paz a Coroico. Non ha né asfalto né guardrail, la carreggiata ospita a malapena una 600 e da un lato c’è un costone di terra friabile soggetto a frane, dall’altro c’è uno strapiombo di 1000 metri che termina nella foresta equatoriale dove ragni enormi ti stuprano nel culo prima di mangiarti. Davanti e dietro, data l’altitudine, le nuvole basse impediscono la visuale anche dentro l’abitacolo.
 
Cosa fare transitare per questa strada? Tutto. Macchine, motorini, camion, autobus, trasporti eccezionali attraversano pacifici questa specie di trampolino da bungee su due sensi di marcia. Qual è il limite di velocità? La luce. Le macchine e i camion affrontano le curve come consumati piloti da rally, risolvendo ogni problema premendo il clacson, cosa che sembra funzionare finché non stai sorvolando la foresta equatoriale a bordo di un’utilitaria.
 
Capita quindi sovente che, su una strada larga tre metri e mezzo, da una parte sopraggiunga un autobus con a bordo 64 bambini e dall’altro un camion carico di bombole di gas. A quel punto tutti i presenti scendono dalle macchine e cominciano a riprendere col telefonino. Sì. Perché i boliviani al volante sono come i trevisani: “piuttosto di cedere il passo, trapasso” e avanzano petto in fuori fino alle imprevedibili quanto funeree conseguenze. Su Youtube si trovano falangi di queste memorabili imprese che vengono poi proiettate ai funerali davanti alle mogli in lacrime ma orgogliose.
 

-Sì, està muerto y ha matado 8076876 personas – singhiozza la vedova – ma non ha dados  precedenzas al perro maldido que veniba en senso contrario, mi familia puede camminar a cabeza alta, l’onòr està salvo –








“Papà guida autobus nella Grande Pampa da vero uomo, ora”








La strada della morte ha comunque attrattive per palati più raffinati, o meglio, le modalità di decesso sono varie. Frane. Crolli. Bassa visibilità. Clacson che non funzionano. Secondo le statistiche ci muoiono 100 persone l’anno e, visto che per Wikipedia la strada è stata fatta nel 1930 da prigionieri paraguayani, a far due conti ha fatto gli stessi morti della guerra in Siria.
 
Esempi.
 
5) “Staying alive
 

Sapendo tutto questo ve ne terreste alla larga, giusto?

Sbagliato. All’improvviso innumerevoli persone da tutto il mondo, specialmente americani, si sono catapultati in Bolivia per andare sulla strada della morte in bicicletta, fare i filmati e mostrarli agli amici a casa tutti orgogliosi, tanto che in Bolivia sono nate compagnie apposite che conducono questi colti stranieri lungo la strada della morte. Alcuni fortunati, affidandosi ad agenzie raffazzonate, riescono a provare il brivido di una morte simile: un chilometro di caduta libera e poi ragni sodomiti. Nelle foto sono tutti con occhiali da sole ed aria da duri mentre, armati di mountain bike, affrontano il vero pericolo per avere qualcosa da raccontare alla bionda in ristorante.



Perché viaggiare è importante.








 
“Look at me Rosie, a shitload of peones died here!”

 

THE WAY BACK è un capolavoro.

 
 
Ho conosciuto Ed Harris guardando The Rock.
Sconvolto dalla potenza espressiva del generale Hummel ho visto pressoché tutta la filmografia di Ed, rimanendo incredulo davanti al carisma che emanano i personaggi che interpreta. Tutti. Da Apollo 13 ad Appaloosa, da Il nemico alle porte a The Truman Show, Ed Harris è perfetto. Ti basta guardarlo negli occhi durante la prima scena per capire che andrà tutto bene.
The way back è la storia (vera) di tizi che scappano da un gulag e camminano fino in India. Fine. Non c’è altro. Se sommate tutti e tre i Signore degli Anelli vedrete meno gente che camminaSu carta lo avrei archiviato nella sezione “due marroni” e mi sarei riguardato Paura e delirio a Las Vegas, ma c’è Ed Harris. Non si può saltare un film dove appare Ed.
 
Dopo mezz’ora sono ad occhi sbarrati che guardo un capolavoro.
 
 
 
 
The way back è la storia di sette formiche che lottano contro un titano, armati solo della loro determinazione. Credo un film sia come un’orchestra: non serve avere un violinista della madonna se i percussionisti sono dei punkabbestia fatti. Tutto deve muoversi all’unisono e incastrarsi alla perfezione, cosa che qui succede. Partiamo dai protagonisti.
 
 
 
1. La natura
 
L’abbiamo vista coccolosa e posticcia nel Signore degli Anelli. Supercafona su xXx. Bombata di steroidi su Vulcano, Twister, 2012, Deep Impact. Romantica ed epica su Pirati dei Caraibi. Tutto bello, ma si vede che è finta. Per poterla ritrarre in maniera credibile serviva gente che ci lavora da anni con mezzi, amore, umiltà ed esperienza.
 
In una parola: la National Geographic.
 
Per la prima volta sullo schermo appare lei in tutta la sua magnifica, crudele, inamovibile indifferenza. Su The Way Back ogni inquadratura comunica la reale dimensione dell’uomo di fronte ad un pianeta. E’ una sensazione desolante e miserabile che annichilisce la persona più motivata. Ogni passo è ridicolo, di fronte tale immensità. Ogni speranza, ogni pensiero, sembrano peti di pulce. Masse da miliardi di tonnellate di roccia, pianure sconfinate, oceani di sabbia o mostri di foglie e neve immobili, eterni, indifferenti.
 
 
 
2. Gli sceneggiatori
 
Puoi mettere tutti gli effetti speciali che vuoi, le esplosioni, tirannosauri, F-35,  colpi di scena Shakespeariani, trame complicatissime e improbabili, ma se i protagonisti sono monodimensionali il film sarà una merda. I personaggi sono tutto. TUTTO. I personaggi sono l’unica cosa che conta. Sapete qual è il metodo che uso per capire se un personaggio mi piace o no? Provo a descriverlo senza citare l’aspetto fisico o i vestiti.
 
Ian Solo è solitario, spaccone, coraggioso, segretamente idealista, ironico, scanzonato, orgoglioso.
Frodo ha gli occhi blu.
 
Dart Vader è intelligente, tormentato, condannato, determinato, fedele, triste, potente, spietato, motivato.
Legolas tira bene con l’arco.
 
Barbossa è fiero, rabbioso, capace, orgoglioso, romantico, ironico, determinato, appassionato e combattivo.
Twilight
 
 
Ogni personaggio ha una storia, un motivo, evolve o involve. Non c’è punto debole, peso morto o comparsa. E’ un film di protagonisti. Ognuno ha il suo ruolo e lo svolge alla perfezione, interagendo con gli altri in maniera bidirezionale. I dialoghi sono folgoranti, profondi, rapidi e geniali. Non c’è una parola fuori posto, un gesto sbagliato o incoerente. Se su Prometheus avessero dato un decimo dei soldi spesi in lucine azzurre a degli sceneggiatori (o avessero pagato qualcuno per sparare a Lindenlof) ne sarebbe uscita una bomba.
 
 
3. Gli attori
 
Colin Farrell nei panni di Valka, più bestia che uomo, è superlativo. Ed Harris in certi primi piani ti strapperesti gli occhi da tanto è bravo, quando in uno sguardo riesce a dire tutto senza aprire bocca (tipo in questa scena che non vi spoilero).
 
 
 
 
I comprimari sono perfetti. Vederli consumarsi scena dopo scena, dimagrendo, abbrutendosi, degenerando fino allo stremo è uno spettacolo agghiacciante di bravura e professionalità… che non noti. Non guardi il film, ci sei dentro. Gli dai suggerimenti. Li avvisi, li aiuti, li consigli, ti disperi. Piangi. Ridi. Ti esalti. Resti a bocca aperta per la fotografia e il momento dopo inorridisci.
 
The way back è un capolavoro.
Ed Harris è Dio.

Fargo è vivo e lotta insieme a noi

 
 
Fargo è un cocker di una bellezza incredibile.
Pedigree di razza che in termini di costo lo mette al pari di un F-35, pelo morbido, sguardo dolce, figura atletica e slanciata, scodinzola costantemente. E’ iperattivo ma anche educato, cosa oggigiorno più unica che rara. Ti chiede se può uscire per cagare, non abbaia, non piange, sta sempre nel posto dove deve. Puoi andarci in giro senza guinzaglio e lui obbedirà ad ogni comando. Se te lo porti al ristorante non disturberà mai. La gente lo vede e si innamora di Fargo, che è un cocker bellissimo con un solo, trascurabile problema.
 
E’ morto.
 

La vera trama di Prometheus

“Mi faccia capire, voi colonizzate pianeti e non avete ancora guarito la calvizie?”

«Zkbarr, mi annoio»
«Io sono Kmer»
«Mi annoio lo stesso»
«Tromba Ftagn, no?»
«E come la riconosco, se è uguale a Krambula, a Gnennka, a Ubradi e a tutte le donne del nostro pianeta? All’ultima cena mi sono inculato per errore Vknamm»
«Potremmo pettinarci in maniera diversa»
«Non abbiamo i capelli e abbiamo i crani tutti uguali, siamo tutti alti uguali, abbiamo tutti il fisico uguale e abbiamo tutti gli zigomi uguali»
«Mannaggia»
«Ho un’idea! Creiamo un pianeta di esseri tutti diversi tra loro!»
«Perché?»
«Fa ridere»

Gli alieni trovano il nostro pianeta e vi piantano il loro codice genetico obbligando uno dei loro a bere un caffè di McDonald, poi tornano a casa. Osservano gli sviluppi. Sulla Terra nasce l’uomo, si moltiplica, poi un gruppo comincia a venerare un meteorite, l’altro venera un tizio in croce e si ammazzano tra di loro perché il meteorite è meglio della croce. Gli alieni si guardano.

«Sono venuti fuori male, uccidiamoli»
«Ok, armo il cannone a onde quantistiche»
«No! Andiamo sulla Terra e lasciamogli istruzioni per raggiungerci quando si saranno evoluti»
«Ma perché?»
«Fa ridere»

«Fa ridere portarci a casa un popolo affetto da deficit cognitivo?»
«Mica gli diciamo di venire a casa nostra, testa. Gli facciamo lo scherzone e gli diciamo di raggiungere un pianeta a cazzo, che riempiremo di armi batteriologiche»
«Ma perché?»
«Fa ridere»

Kmer fa spallucce. Colonizzano un pianeta morto e iniziano a riempirlo di armi batteriologiche pericolosissime. Basta un minimo contatto con la sostanza che c’è all’interno per subire atroci mutazioni o venire infettati da un parassita che uccide in modo orribile, quindi la cosa migliore da fare è metterle in dei contenitori fatti di gelato surgelato.

«Non sarebbe meglio acciaio rinforzato?»
«No»
«Perché?»
«Fa ridere»
«Cosa, di preciso?»
«Apro la finestra? Eh? EH? Alzo il riscaldamento?! Ha ha ha haha, guarda che facce che avete! Oh! Occhio a non scorreggiare, scaldate l’aria e siamo fottuti, eh? Haha ha ha ha»
Le teche si sciolgono e muoiono tutti.

Sul loro pianeta il re degli alieni va dal capo di stato maggiore e domanda che fine abbiano fatto cinquecento astronavi, duemila soldati e venti tonnellate di armi batteriologiche.

«Guardi, non so, salteranno fuori»
«Massì» fa il re «tanto sono tutti uguali»
Passano 200 anni.

Sulla terra un vecchio puzzone miliardario sta tirando le cuoia: sua moglie l’ha lasciato, odia sua figlia, il suo unico amico è un robot e da trent’anni piscia col cucchiaino. Chi non vorrebbe vivere così in eterno? Guardando la TV vede una coppia di scienziati che farneticano bislacche teorie, tipo che nello spazio ci sono i nostri creatori. Il vecchio si emoziona: se un contadino pianta una quercia, di sicuro è anche in grado di farla ritornare ghianda, pensa scaltramente il vecchio. Contatta gli scienziati e si trova davanti lui che è un alcolizzato, lei che è una creazionista.

«I graffiti sui muri mostrano dei pianeti» dice lui.
«Dove abitavano Adamo ed Eva» precisa lei.

Stregato da questi brillanti ragionamenti gli cede un’astronave gigantesca e arruola il miglior equipaggio possibile: il miglior biologo del mondo, ossia un ultras che ha risposto “latte” al test “cosa bevono le mucche”. Il miglior geologo del mondo, ossia uno che all’angolo della strada stava sgranocchiando un sasso, il robot che gli cambia i pannolini, dei soldati scartati alla visita di leva e, visto che avanza posto, sua figlia. Si odiano, ma mettiamola lo stesso. La nave è governata da un negro e due bambole gonfiabili asiatiche per bilanciare le minoranze etniche. Totale, una decina di persone in tutto. Si fanno congelare e partono verso il pianeta A331.

L’astronave arriva sul pianeta senza sapere che atmosfera ci sarà fino all’ultimo, quindi i soldati per sicurezza hanno deciso di portare armi che funzionano di sicuro: lanciafiamme. Così se nell’aria non c’è ossigeno li usi come clave, no? Spiazzerebbe il nemico. Atterrano davanti a una costruzione aliena. Hanno solo sei ore di luce, quindi la cosa migliore è uscire a fare due passi. Sulla porta la creazionista ferma i soldati.

«Niente armi»
«Ah, ok, tanto io volevo fare il pittore» risponde uno.
«Ah, ok, tanto io sono cieco» risponde l’altro.

Mollano i lanciafiamme e si aggregano al gruppo. Certo, se gli alieni si rivelassero ostili loro sarebbero inutili come un lustrascarpe alle paraolimpiadi, ma non importa. Entrano nella struttura. Secondo gli strumenti l’atmosfera all’interno è simile alla nostra. Lo scienziato si esalta e decide di togliersi il casco per respirare a pieni polmoni gas, microparticelle, virus, batteri, polveri e agenti contaminanti sconosciuti. Anche un focomelico di prima elementare lo saprebbe, ma lui è uno scienziato americano e ci sta che non lo sappia.

Hanno dietro un biologo apposta, no?
Lui lo osserva divertito, poi si toglie il casco anche lui.

Se lo tolgono tutti e cominciano a passeggiare fischiettando. Aprono porte con la stessa cautela con cui Roxy Raye s’infila proboscidi nel culo, tra un motteggio guascone e una battuta virile. Il geologo non raccoglie campioni di terreno, si gratta. Il biologo non cerca tracce di vita, dà fastidio agli altri. La scienziata si tocca il crocefisso che tiene al collo. Il robot vaga con un sorriso ebete. Dopo un’attenta ricerca basata sul metodo “gita delle elementari al Louvre”, entrano in una stanza piena di strani contenitori. Ci camminano in mezzo, li tocchignano, notano che si sciolgono. Trovano una testa di alieno mozzata, la buttano in un sacco e proseguono. Alla radio il negro li informa che oltre alla notte sta arrivando la tempesta, mollano tutto e corrono all’astronave tranne il biologo e il geologo che preferiscono dormire lì, da soli, al buio, in mezzo a un edificio alieno.

Da qui in poi l’interruzione dell’incredulità collassa.

Sull’astronave il robot apre uno dei contenitori, prende un campione della sostanza e la mette nel bicchiere dello scienziato. Così, tanto per vedere cosa succede. Lo scienziato beve, scopa la scienziata, si guarda allo specchio e c’ha i vermi negli occhi. Decide di tenerselo per sé e vanno tutti a dormire. Durante la notte, nella costruzione aliena, il biologo e il geologo trovano un verme che è entrato in contatto con la sostanza dei contenitori ed è diventato un cazzo viola di due metri. Questo non li intimidisce.

«Cucci cucci cucci» fa il biologo al vermone «cucci cucci cucci»
Il cazzo viola mostra una fila di denti acuminata.

«Cucci cucci cucci» fa il biologo «cucci cucci cuc
Muoiono tutti e due.

Il mattino dopo lo scienziato coi vermi negli occhi sta malissimo, esce che peggiora a vista d’occhio. La creazionista avverte gli altri dicendo che il suo ragazzo sta molto male.

«Oh, no» fa la figlia del vecchio «ora dovremo ucciderlo!»
«Eh, sì, tocca» risponde il robot.
«Sì, vi prego, uccidetemi» risponde lui.

Prima che qualcuno dica “curiamolo”, “esaminiamolo”, “che cazzo fate, abbiamo un gozziliardo di strumenti a bordo”, prima che uno spettatore gridi “ma che cazzo, le teste infette di alieni le manovriamo coi borsoni e uno di noi lo ammazziamo a caso?” un soldato dà fuoco all’entusiasta scienziato che perisce arso vivo.

L’armata dei mongoplettici fa ritorno alla struttura aliena come se nulla fosse. Trovano il corpo del geologo, dicono “noo ma ke sfiga io odio il lunedì” e continuano ad esplorare la struttura. Il biologo nel frattempo si è trasformato in uno zombie ragno con la testa alla Mars Attack che raggiunge l’astronave a quattro zampe e comincia a menare la gente a caso.

«Mi scusi ma che fa, perché?!» gridano i soldati.
«RIDDERE» ringhia il biologo zombie «FARE RRRRIDERE»
Uccidono anche lui.

Nessuno mangia, tutti crescono.

La creazionista ha delle coliche pazzesche, con la giusta musichetta sembrano scene tratte da Natale sul Pianeta E331. Torna sull’astronave, si fa fare una scansione dell’addome e scopre di avere in pancia una specie di calamaro fritto da passeggio, che nel giro di una notte è grande come la testa di un rinoceronte. Non si sa nutrendosi di cosa, ma è così. La donna entra nella CABINA MAGICA DEL PICCOLO CHIRURGO e si fa asportare questa bestiola che s’ingrandisce a vista d’occhio. Lo congela e comincia a camminare per la nave. Sbadatamente apre una porta e magia! Centinaia di medici, infermieri, segretari si prodigano nell’aiutare il vecchio che piscia col cucchiaino. Lei non è che grida “oh mio Dio e voi chi cazzo siete, da dove sbucate”. No. Dopo un cesareo si siede a chiacchierare col vecchio, che le spiega il suo vero scopo: sticazzi dell’alieno, lui vuole pisciare col cucchiaino per sempre.

Tutti a questa rivelazione si tranquillizzano e vanno a fare due chiacchiere con l’alieno, incuranti della valanga di morti, sofferenze, abusi e balle che si stanno dicendo.

Raggiungono per l’ennesima volta la struttura aliena, decongelano Zborr e il robot gli domanda se può farli vivere in eterno. Zborr inorridisce guardando il popolo di Jersey shore che gli è entrato in casa mentre dorme, rompe il culo al robot, mena al vecchio, trucida i terrestri restanti e si mette a guidare l’astronave per andare sulla Terra e uccidere gli sceneggiatori di Lost una volta per tutte. La creazionista telefona al negro che governa la nave.

«Ahmed, mi senti?»
«Sì»
«Nessuno ti ha detto niente, nessuno ti ha spiegato niente e io sono la persona con meno autorità su questa nave, ma devi guidare l’astronave da 300 miliardi contro quella aliena suicidandoti e uccidendo tutti quelli a bordo»
«Ah, bella storia» fa il nigga «io ci sto, ma forse dovrei chiedere agli altri»
«Non serve, fidati, sono tutti d’accordo»
«Ah beh, se lo dite voi»

Questo credibile e complesso personaggio manovra la nave in modo da schiantarla contro quella aliena. Muoiono tutti. Nella scialuppa di salvataggio, tuttavia, il calamaro estratto dal ventre della creazionista riappare che è alto tre metri e largo otto. Non si sa cos’abbia mangiato, visto che era in una stanza ermetica, ma tant’è. E’ lievitato. Zborr, l’alieno sopravvissuto allo schianto, con un notevole sforzo appare in scena appena in tempo per farsi uccidere dal calamaro. La scienziata, unica sopravvissuta perché crede a Dio in un film di americani, parte con il robot in cerca del pianeta originario degli alieni. Lo scopo è tirargli la manica domandandogli “perché vi stiamo antipatici, eh? Dai, me lo dici? Mi dite perché siamo antipatici? Perché ci odiate? Eh? Me lo dici? Scusa, me lo dici?”

RECENSIONE
Prometheus è una merda fatta non per la passione di raccontare, ma per obbligare la gente ad andare a vedere il seguito. E’ girato da schifo e scritto da una persona che dovrebbe andare a lavorare in falegnameria, però ci sono le lucine azzurre di Harry Potter.

E questo cambia tutto, se sei un americano con il QI di un cane morto.