Pioggia. Edifici grigi e sgretolati vengono sferzati da raffiche di vento e acqua gelida. Per le strade, ormai ridotte a torrenti di fanghiglia e rifiuti, si affrettano pochi passanti emaciati e denutriti, intabarriati nei loro vecchi impermeabili anni ’60. Un osservatore attento, passando vicino ai vicoli, noterebbe nasi piccoli e arrossati sporgersi dalla fessura di un uscio fatiscente. Visi sporchi e curiosi di bambini troppo deboli e denutriti per rapinarti, troppo infreddoliti per chiedere l’elemosina, vengono richiamati dentro dalle grida roche della madre. Dall’interno proviene un tanfo fetido di cavolo bollito. Le finestre spaccate e rattoppate con lo scotch mandano l’inconfondibile bagliore giallastro e intermittente del fuoco. Sporgendosi, il passante noterebbe una famiglia attovagliata a lume di candela. Al centro del tavolo c’é un’aringa. Il padre prende un pezzo di polenta e ce la struscia sopra, poi la passa al bambino. Per strada c’è un silenzio spettrale, privo dell’abbaiare dei cani domestici. L’ultimo è stato arrostito molti anni fa e da allora i randagi evitano il paese. Proseguendo attraverso chilometri di questa desolazione si arriva al confine, dove un cartello sbranato dalla ruggine recita “benvenuti a Letteria, città della Vera Letteratura Italiana”. Stacco. Ora siamo in un palazzo anni ’60. La carta da parati è avvolta su sè stessa, stracciata e ingiallita. La moquette è una coltura di muffa. Poltrone e mobili, gonfi di tarli e umidità, marciscono nel buio. Nell’angolo un grammofono suona il vinile di De Andrè.
“Buon capodanno a tutti” annuisce serio il sindaco di Letteria, riscaldato dal fuoco proveniente da un bidone.
Gli amministratori, in piedi attorno all’unica fonte di luce e calore, ricambiano con un cenno del capo.
“Si può dire grazie?” sussurra uno.
“No, fa borghese”
“Anche questo è stato un anno stupendo per la Vera Letteratura Italiana” dice il sindaco “e, mi sia permesso, oserei definirmi… felice”
Tutti trattengono il fiato.
Il sindaco si guarda attorno, poi borbotta una risatina. I volti si distendono. Altre risatine pacate, qualche pacca sulla spalla. A Letteria la felicità è un grave reato, ma il sindaco è del 1956 e si sa, ai giovani piace essere provocatori.
“Quest’anno abbiamo fatto molto per la Vera Letteratura. Abbiamo pubblicato la 2.688ma edizione della Divina Commedia. L’idea di stamparla in un librettino minuscolo è molto piaciuta al pubblico. Poi abbiamo parlato molto di Calvino e del suo Marcovaldo, la cui leggerezza ineffabile e ironica ci ha aiutato a riflettere sulla condizione alienante dell’uomo moderno. E come non citare Pasolini (mi sia concessa una domanda retorica)?”
“Sì, come non citarlo?”
“Inoltre abbiamo conquistato i giovani con una riedizione di Baricco che legge Baricco commentato da Baricco. Brillante l’esegesi del testo, grandiosi i risultati tra il pubblico quando ha scoperto che Baricco, leggendo Baricco, realizza che il senso della vita consiste nell’essere Baricco, chiara citazione dell’insostenibile leggerezza dell’essere”
“Meraviglioso”
“Sublime”
“Letteratura alta, senza tempo”
“Altro fondamentale materiale di studio alla scuola Holden” annuisce l’assessore alla viabilitá, nato nel 1899.
“E poi abbiamo stuzzicato i palati piú trasgressivi con quell’intervista immaginaria di Eugenio Scalfari al Santo Padre. Straordinaria la conclusione, dove entrambi convengono che In Italia serve meno chiesa e più Gesù”
“Un tema molto sentito dai giovani” annuisce l’assessore al commercio, nato nel 1940.
“Eh, i giovani sono un problema. Sembrano poco inclini a leggere storie retoriche di miserie del secolo scorso. Non capisco”
Il sindaco si fa paonazzo: “Noi siamo letteratura, signori. Non dobbiamo capire, solo spiegare”
“Per questo abbiamo fatto espellere trentasette cittadini-lettori che non avevano acquistato abbastanza libri seri” sorride l’assessore alla sicurezza, nato nel 1922 “ma non temete, ora riproporremo la collana de I malavoglia, un successone sicuro”
“E perché non l’attualissimo Goet
L’anziano si interrompe.
“Lo sentite anche voi?”
“Cosa?”
“Questo suono, sembra metallico”
Tutti tendono le orecchie. Fuori la pioggia è cessata. I vecchi vanno alla finestra, confusi. È vero. C’è un suono. Viene da est e risuona nell’aria. Cresce, moltiplicandosi. Per strada la gente esce di casa, guardandosi attorno spaurita.
“Dunque non lo sento io solo?” domanda un uomo emaciato a una donna che si stringe al petto il figlio.
“No, gentil signore, non lei solo” replica lei.
In breve tempo tutta Letteria è fuori e guarda il cielo, da cui il suono sembra provenire. Il sole spunta. La luce li acceca un istante prima che riescano a distinguere quelle strane sagome.
“Ma nel nome di nostro Signore” mormora il sindaco “quale orrore è mai quello?”
“BRAVO SETTE, BRAVO SETTE, RICHIEDO AUTORIZZAZIONE A DROPPARE L’AUDIO” grida l’interfono a bordo.
“NON S’È SENTITO UN CAZZO, TERRONE, RIPETI”
“FACCIAMO PARTIRE L’UNGIFREGNA O NO?”
Ario si gira verso il pilota. Quello annuisce.
“SPLENDIDO, SIAMO A TIRO, SUONATE, SUONATE TUTTO” grida Ario al microfono “RIPETO PER VOI FINTI INVALIDI, ACANNATE L’IGNORANZA”
Lo stormo attiva le casse appese fuori e preme play.
A terra, Letteria osserva con crescente preoccupazione lo stormo di puntini neri avvicinarsi quando dal cielo risuona “danza kuduro” di Don Omar. La cafonaggine del pezzo e l’ignoranza dei bassi brucia le gonne delle donne in età d’accoppiamento trasformandole in tanga stracciati. Le ballerine ai loro piedi si espandono allungandosi in plateau tacco 15. Gli uomini fino a un istante prima pallidi e macilenti si coprono le orecchie urlando, ma è tutto inutile. Le pance di alcuni si gonfiano uso anguria mentre dal petto esplode una cascata di pelo, strappando la camicia e svelando il tatuaggio “insegui i sogni che credi fino al giorno che li rendi veri”. Il fisico burroso degli adolescenti viene percorso da tatuaggi tribali e “spagetti ammore” scritto in caratteri giapponesi, i bicipiti si gonfiano evidenziando braccialetti del Milan, stampini di discoteche e i pantaloni di velluto mutano in jeans bucherellati di bruciature marijuanesche, mentre sul culo apparire la scritta RICH. “VAMUSC DANSÀR, KUDDURO” urla una ragazza, poi rimane in bikini fucsia a strofinare la fregna contro un uomo paralizzato dal terrore. Nel municipio è il panico. Sirene antiaeree fanno chiudere il portone principale e spruzzano volantini fotocopiati in bianco e nero che invitano a retrospettive sul cinema antifascista.
“È un uccello?” chiede il sindaco, coprendosi gli occhi.
“È un aereo?” chiede un assessore.
“No” mormora il più giovane, indietreggiando “è un ornitottero”
Con migliaia di kgnik kgnik kgnik, l’ornitottero di Ario sorvola Letteria seguito da altri carichi di napoletani fumati, chioggiotti sbronzi e studentesse baresi in ovulazione.
“PRESTO!” grida il sindaco “RIFUGIAMOCI NEGLI EDITORIALI!”
“Signore, fuggono” dice il pilota, a trenta metri d’altezza.
“Opporre resistenza ci farà solo godere di più” sentenzia il nostro, poi impugna il microfono: “SENTITO, PIPPE? PRIMA O POI OGNUNA DELLE VOSTRE BAMBINE V’HA ABORTITO UN TERRONE, FUOCO, PERDIO, FUOCO”
Mentre Don omar invita a danshar, Kuduru, ohi ohi oh, i cannoni delle mitragliatrici vomitano un torrente di mojito fatto col rum del LIDL che investe la popolazione. I colpiti cadono a terra domandandosi “e se divertirsi fosse possibile?” Le donne, grondanti menta e ghiaccio, si strappano i vestiti e urlano “sapete cosa, affanculo gli intricati traumi psicologici, io la dò via perché mi piace”. Una cinquantenne, presa di striscio, si tiene il braccio e mormora confusa “forse… Forse più che romanzi di autori siriani io vorrei provare sesso lesbo” ma viene salvata dal marito che le mostra la copertina di un romanzo palestinese. Si rifugiano nelle case in preda al panico. Ario agguanta una corda e si cala a terra mentre dagli altri ornitotteri figure in tenuta da commando fanno lo stesso. Raggiungono il comandante. Ario non perde tempo.
“VA BENE, RADIAMO AL SUOLO QUESTO CACAIO. BOCCIATI E MANOVALI, CON ME. VOI FICHE, VOGLIO TOPLESS NEI PUNTI CHIAVE DELLA STRADA, TUTTE LE TAGLIA 42, FACCIAMO MUOVERE QUEL CULO, TWERKING DI COPERTURA NEL RAGGIO DI CINQUANTA METRI, SBRIGARSI!”
Alle sue spalle una testa fa capolino dalle macerie e grida “ma leggetevi un buon libro, invece!”. L’estetista con Vuitton finta e tacco cubista sposta Ario appena in tempo, poi si spalanca la camicia mostrando le tette con un delfino tatuato e i capezzoli coperti col nastro isolante. Il cecchino urla e torna nel buio.
“Appena in tempo” ansima lei.
“Ben fatto. FORZA, CON ME!” grida Ario, poi i gruppi si dividono. Il commando di maschi con la terza media avanza facendosi strada verso il palazzo del sindaco.
“I funambolici estetismi di una prosa matura e ironica non mancano di sottolineare…” grida un uomo spuntando dalle macerie.
“In due anni ho letto solo la Casta e non l’ho manco finito” replica un barista, uccidendo il nemico sul colpo.
“I migliori autori italiani moderni si riuniscono in un caffè letterario senza mura nè tempo…”
“Ma smettila, chi cazzo vi ha mai visti” risponde Ario.
Il critico cade a terra stecchito.
“Si ride con brillanti calembour e caustiche chiuse, una satira spietata ch…”
“Berlusconi almeno s’è orgiato la Minetti con Belen e voi no”
Al nemico esplode la testa.
“Questo blog racchiude i migliori poeti della rete, un non-luogo dove…”
“…maestri di tango in crisi di mezza etá rimorchiano sfigate divorziate, vaffanculo”
L’uomo muore prima di toccare terra.
Dal municipio i vecchi guardano sotto, inorriditi: “Che facciamo? Sono quasi ai cancelli!”
“Rilasciate lo straziante lamento dell’operaio oppresso dalla triste società postindustriale che sprofonda in un abisso di droga e miseria, ma in un centro sociale incontra Karima, un’immigrata clandestina che in lui vede un compagno”
“Ci abbiamo giá provato, hanno risposto al fuoco dicendo che gli operai di venerdì si tirano in stecca e vanno in discoteca a rimorchiare e i centri sociali sono per figli di papà e spacciatori”
“Allora il dramma dell’olocausto, ancora attualissimo tra gli studenti”
“Preferirebbero sapere se ci stiamo godendo i loro soldi e la loro pensione”
“E va bene, usiamo il guanto di ferro. Aprite gli altoparlanti e diffondete Battiato”
Dagli altoparlanti parte La Cura. “Vagavo per i campi del Tennessee…”
“…e scoprivo che il parlamento è pieno di troie. AVANTI, TRUPPA, ALL’ASSALTO!” grida Ario, mentre cinque piastrellisti aiutati da due falegnami e uno spazzino maneggiano l’ariete a forma di fallo e demoliscono il portone. Dalle torri, i soldati di Letteria tentano una disperata resistenza.
“Un autore emergente con (r)affinata ironia immagina un dialogo con i Grandi Della Letteratura, passeggiando in una diafana Venezia di fine ‘800”
“SAPPIAMO A MEMORIA TUTTE LE BATTUTE DI VACANZE DI NATALE 1986, SUCATE”
I letterati cadono a mucchi, fulminati.
La porta cede di schianto e i cafoni defluiscono all’interno seguiti a ruota da donne seminude che cantano AI SE EU TE PEGO. Mentre i maschi danno l’assalto all’interno, nel cortile le squinzie ingaggiano un feroce corpo a corpo con le guardie.
“La raffinata poesia senza tempo del dolore umano, quella malinconia che ci avvolge nel crepuscolo dell’esistenza”
“NA VORTA AR SUNSPLASH ME SO PORTATA IN TENDA DU NEGRI”
“Se lei leggesse di più avrebbe la possibilità di ampliare i propri orizzonti linguistici e letterari”
“IO LEGGO SOLO NATHAN NEVER”
“Fumetti?” Inorridisce la guardia “FUMETTI!”
La sola parola detona nell’aria, uccidendo tutti i Lettariani nel cortile. Con un grido di gioia le donne si riversano all’interno in una cacofonia di tacchi, suonerie truzze e autoscatti eseguiti con un iPhone 5 oro.
“La donzelletta vien dalla campagna…”
“STASERA FACCIO ‘A BRAVA”
“Con la tipica sensibilitá e gentilezza femminile intraprendiamo un viaggio nelle memorie di Athena, la figlia di un manovale che sognava…”
“CIÒ FIE, E STASERA NDEMO A VEDAR I CALIFORNIA DRIM MEN CHE NE MOSTRA EL MANEGÒN, HAHAHAHAH”
Al piano di sopra la resistenza è stata travolta. Ario e i fedelissimi martellano di colpi l’ultima porta. Fuori, gli ornitotteri spazzano le strade dei pochi abitanti ancora disposti a combattere.
“Questa non è letteratura!” urla il sindaco dall’interno “andatevene! Non siete degni!”
“Videogiochi, fumetti, blog” grida uno.
Dall’interno proviene il suono di viscere liquefatte e gemiti.
“Non potete farlo! La Vera Letteratura è una cosa seria!”
“Ed ecco perché l’Italia sta diventando un paese di analfabeti depressi” tuona Ario, sfondando la porta e ruzzolando all’interno. Il sindaco e due assessori indietreggiano, spalle al muro, circondati da persone la cui cultura rasenta il bestiale.
“Voi non avete il diritto! Cosa volete fare?”
“Salvare il salvabile. Tenetelo fermo” sentenzia Ario, poi tira fuori un pacco, si sporge dalla finestra e raggiunge il tetto del municipio. Sotto, la battaglia è finita. Da qualche parte risuonano bassi ignoranti, gemiti sessuali, bicchieri rotti. Colonne di fumo di grigliate profumano l’aria di creme abbronzanti, menta, legna bruciata, inchiostro da bombolette e lubrificante anale. Gli ornitotteri in volo gli si fanno attorno, vorticando in un KGNIK KGNIK KGNIK come angeli spastici attorno al Dio dei party-giani. Alle sue spalle, un cielo rosso mestruale. Osserva con solennità e orgoglio il popolo di poeti, scrittori e lettori ai suoi piedi. Quelli ancora sani lo osservano disgustati. Lui porta in alto le mani e strappa la carta, svelando un libro. Inspira.
“QUESTO È IL LIBRO DI NEBO, STUPIDI COGLIONI, LO TROVERETE IN TUTTE LE LIBRERIE D’ITALIA A GIUGNO 2014, IN TEMPO PER LEGGERLO NELL’UNICO POSTO SENSATO, OSSIA SOTTO L’OMBRELLONE”.
La folla arretra.
“COOOOSA?!” sbotta il sindaco divincolandosi “chi è questo? Ha fatto la Holden, almeno?”
“No”
“Allora quella non è letteratura e voi non siete scrittori!”
“Infatti” sentenzia Ario “presi come siete in ‘sta cittá, noi siamo la protezione civile. CHE L’ERA DELLE PUTTANATE ABBIA INIZIO!”
Ho appena firmato il contratto. Ci sará la presentazione ufficiale a Mantova comics 2014. Mettete da parte i soldi, è ora di spaccare il culo ai letterati.