Io, la Leo, Lucia, Luca e Ario stiamo bevendo al solito tavolo vicino alla macchina da scrivere, ognuno chinato sul proprio cellulare. Francesca entra al Verdi trattenendo il fiato, attraversa il locale pieno di gente con i risvolti delle braghe stile sagra dei caparozzolari, ignora lo sfigobuffet
e si stravacca sulla sedia, espirando. Saluti sparsi. Le ragazze si complimentano per il nuovo taglio di capelli che solo loro notano perché hanno la vagina.
«Gesù, questo posto è davvero deprimente» sentenzia Francesca «perché dobbiamo continuare a venire in questa topaia?»
«Sottoscrivo» fa Luca.
«Ci veniamo da sempre, non è in discussione» dico.
«E poi gli spritz sono a 2,50» annuisce Ario.
«Quando mai hai pagato qualcosa da bere?» chiede Luca.
«Non mi ricordo, ero giovane. Minchia guarda questa» dice, allungando il cellulare «quinta naturale, Katrina, per poco tempo a Mestre»
«Figa» fa la Leo, sporgendosi.
«MA GUARDATE SITI DI ESCORT?!» sbotta Francesca.
«Perché, tu quando ficcanasi i profili Facebook cosa fai?» chiede Ario.
«Io… tu… Siete tutti così… CAZZO!» batte la mano sul tavolo Francesca «che sfigata sono!»
Ario mette via il cellulare: «Prego?»
«Niente, lasciatemi perdere» fa lei, alzando la mano verso la cameriera «quando ho chiesto a Dio una vita senza pene deve avermi fraintesa»
Tre spritz bianchi, due mojito.
Stiamo per fingere d’interessarci alle paturnie sentimentali di Francesca quando la porta si apre. Anfibio con suola tenuta da nastro isolante, jeans blu marina aderentissimi ridotti a straccio da cucina, felpa con cappuccio verde dell’Heineken da cui spunta tshirt nera dei Pantera, chiodo di pelle borchiato, rado capello lungo causa calvizie con brillante scriminatura anteriore alla Vegeta. Spalle spioventi, volto cinereo spezzato da cupe occhiaie nerastre.
«Ma che cazzo, a quelli dell’ospedale avevo detto di chiudere bene le celle frigorifere» mormora Luca al tavolino, guardando Atza entrare.
«Dai, ha il suo stile» fa la Leo.
«Confonderesti un gulag per una sfilata di Gucci»
Il pallido figuro ci raggiunge con camminata mesta.
«Ho un problema» esordisce tenendo gli occhi bassi «giuro su Dio che piuttosto di dirvelo preferirei tagliarmi le vene, m
«Il coming out così, adesso?» fa Ario, sistemandosi sulla sedia «vai, siamo pronti. Parti dall’inizio, fin da piccolo traevo gioia dall’infilarmi la testa dei Masters nel culo, poi…»
«…Da un paio d’anni frequento un gruppo di spada medioevale» dice Atza.
Luca si copre la faccia con le mani.
«Cioè… cioè ti fai le spade?» chiede Ario, confuso.
«No, coglione, non mi faccio le spade. Faccio spada medioevale a Preganziol. Campo, tende, vestiti e armature tipiche d’epoca. Siamo i Draghi gialli»
«I draghi gialli…» piange Luca, sempre con la faccia tra le mani «trentacinque anni, i draghi gialliiiiih…»
Francesca lo guarda come un aracnofobico guarda Shelob.
«Fa parte di un mio percorso personale, va bene?!»
«Atza, i draghi gialli il percorso personale? Cazzo sei, Pistorius senza protesi?»
«Comunque tra noi ci sono… nobili. Veri» deglutisce «e ho scoperto di esserlo anch’io»
«In che senso» dico, preparandomi al peggio. Mi guardo attorno. C’è troppa gente perché quello che sta per succedere non generi problemi. Il nostro prode cavaliere suda, pallido, tamburellando il tavolo: «L’istituto araldico ha decretato che io discendo da dei visconti di Savon
È goal.
«AHAHAHHAH HAHA HAHAHAHAH AHAHAHA» ride Ario, isterico «ATZAHAHA HAHAHAHAHAH I VISCONTI DI SAVONAAHA HAHAHAH HAHAH»
«Mia madre ha fatto fare una ricerca seria, le è costata un botto, va bene?!»
«ODDIO QUANTO T’HAN GRATTATO PER DIRTI CHE DISCENDI DAI VISCONTI DI SAVONAAAAAAHAHAHAHA»
«Non è così strano, da noi c’è anche il visconte Poldin»
«OOHOHOHAHHAHAH ANCHE IL VISCONTE POLDIN, ELETTRAUTO D’ELITE PER VACCARI DI UN CERTO LIVELLOHOAHAH HAHAHA MA CRISTOOOOOO»
Lacrime di gioia e sollievo rigano il volto di tutti. Questo ci permetterà di deriderlo per anni, forse per sempre, risparmiandoci la fatica di trovare nuovi motivi per farlo. Persino le ragazze, normalmente tolleranti, gorgogliano prosecco battendosi le chiappe. Il visconte Atza di professione impiegato al comune tace, immobile, mentre attorno a lui si scatena il panico funkadelico. Ne va ammirato il contegno della tigre mentre Leonora si abbraccia a Francesca ululando “te l’avevo detto che a furia di frequentare pezzenti un nobile ci avrebbe trovate”, Ario che s’infila le mani nei pantaloni dichiarando che lì dentro risiede un principe, io che singhiozzo sangue, l’intera clientela girata a fissarci.
«Adesso» prosegue approfittando di una boccata d’aria «al campo è arrivata una donna»
«Cos’è, la psichiatra?» fa Leonora.
Qualcuno nel bar cade dalla sedia.
«Si chiama Sabrina, a me piace e piace anche al visconte Poldin»
«Minchia un dilemma amletico, a chi la calo? All’impiegato pazzo o all’elettrauto pederasta?» fa Francesca.
«AHAHAHAHAHAH HAHAHAHAHAH HAHAHA ATZAAAAHAHAHHAHAHAH VOGLIO SAPERE LA CIFRA ESATTAHAHAHAH HAHAH QUANTO IN BASSO PUO’ SCENDERE UN UOMO PER RINNEGARE LA SUA VOCAZIONE DI SFIGATOHOHOHO, DIMMELOOOOH»
«Sabrina sarà di sangue blu, immagino» fa Luca «con tutte le sborrate al viagra che si sarà trincata…»
«VOLETE STARE ZITTI?!» grida Atza, battendo la mano sul tavolo.
Piomba il silenzio.
«Oggi pomeriggio ho accettato la sfida di battermi col visconte Poldin per decidere chi potrà corteggiare Sabrina. Mi servono due padrini, un secondo e un testimone. Voi siete gli unici amici che ho. Non sto scherzando, è serissima ‘sta cosa. Le armi che usiamo sono vere»
Gli occhi lucidi e spiritati, il tono di voce stentoreo, la manata decisa: Atza non sta traducendo un testo di qualche gruppo finlandese, non è pieno di funghi allucinogeni. È solo giunto all’apice della sua crisi dei trent’anni. Certo, con noi era sempre lo stesso, ma dentro di lui qualcosa macerava e cresceva, un oscuro male che molti chiamano crescere. Per sconfiggerlo ha scelto di sprofondare ulteriormente nell’abisso di sfiga gusto formaggia di cazzo, ma non è servito. Dopo due anni siamo al climax. Il prode cavaliere parastatale affronterà un altro rincoglionito suo pari, ma tutti sappiamo che la battaglia è tra lui e il demone della maturità. Atza ne è consapevole, e con sommo sprezzo della perculazione ha chiesto che noi, suoi amici, gli fossimo vicini nel momento supremo.
«In che senso?» domanda Luca.
«Sciabole vere, affilate e con la punta»
«Stai per accoltellarti con un sociopatico? È questo che stai dicendo?» chiedo.
«Non mi alzerò da questo tavolo senza sapere la somma che gli hanno scippato per scrivere “sì, famiglia De Straccionis, contate qualcosa anche voi”» fa Ario, alzando la mano «vi avviso, sono determinatissimo»
«Non è un duello all’ultimo sangue, il primo che viene ferito perde» lo ignora Atza.
«Se la prima ferita coincide con l’amputazione della tua testa di cazzo siamo punto a capo, sai?»
«Di solito non succede»
Mentre la discussione procede e noi chiediamo dettagli la tensione lascia spazio a un senso di pace. Il duello è un reato, per non parlare di lesioni aggravate, aggressione a mano armata e/o eventuale omicidio preterintenzionale. Il conteggio degli anni di galera è talmente alto da inebriarmi, stampandomi un sorriso imbecille sul volto mentre sommo tutte le denunce civili e penali che ho già addosso e immagino il mio avvocato in Polinesia. Raccontare quanto segue è un’idea del cazzo, ma chi se ne frega? E’ tutto così irrealmente umiliante che nessuno ci crederà mai, men che meno gli svariati militari che leggono il mio blog.
O almeno così mi auguro.
(Continua domattina)