07. Il senso della vita



Sul momento l’erezione di Ario è più interessante dell’amico rapper che grida, così tutti se ne fregano finché dalla spiaggia iniziano a farmi il coro un bambino in lacrime ed una madre isterica. Il cervello di un mestrino cresciuto in una laterale del terraglio 

«IMBECILLE!»

è addestrato ad urla genitoriali. Addestrato. Altamente, professionalmente. Anni ed anni di ceffoni, paternali, furti, equivoci, gonne alzate, manrovesci e castighi hanno forgiato le nostre orecchie a distinguere minacce reali da quelle verbali. E’ per quello che tra di noi ci insultiamo, chi è stato gonfiato di botte durante tutta l’infanzia sa che i veri danni non vengono da

«VERGOGNATEVI, TE E I TUOI AMICI!»


blandi e poco fantasiosi insulti, bensì da frasi fredde, brevi ed impersonali. Gli insulti non menano. Gli insulti sono bene, spesso sono tutto. I problemi arrivano tipo quando senti nomi di persona pronunciati assieme ad un imperativo, ad esempio

«FRANCESCO, VIENI QUA, FRANCESCOOO!»
Ecco.

Solero, sulla spiaggia, sta ancora con lo zaino stretto al petto e non ha capito una madonna. Potrebbero scannarci e lui baderebbe solo a non vedere poliziotti nel raggio di chilometri. Ario dalla vita in giù è puro legno norvegese e non può uscire senza scatenare il panico, Atza ed io siamo i soli in grado di perlustrare la costa aspettando che Francesco si palesi. La moglie consola l’orribile mostro che frigna come solo nel soldato Ryan ho visto fare, gli spiaggianti se ne impippano e le ragazze sono sparite perché le donne sono come gli assicuratori: al minimo casino sono le prime a scomparire.

Quello che emerge dalla fila di ombrelloni non siamo sicuri sia un essere umano. Alto un metro e un nokia, il fisico di un bambino somalo, sui quarantacinque. Ha in mano “Essere digitali” di Nicholas Negroponte ed ha sul viso i colori di guerra della Bilboa protezione total. Si porta con l’indice gli occhiali all’altezza giusta mentre io ed Atza gli andiamo incontro visibilmente tranquillizzati.


«Cosa succede, tesoro?»
«SUCCEDE CHE QUESTI DUE IMBECILLI HANNO TIRATO UNA PALLONATA IN TESTA A TUO FIGLIO, ECCO COSA SUCCEDE»
Il bambino continua ad urlare come un maiale. 

«Ci scusi, non l’abbiam fatto apposta» dico.
«E VORREI BEN VEDERE, voi dovete VERGOGNARVI, capito? VER-GO-GNAR-VI!»
«Cara…»
«MA CARA UN CAZZO, LO SENTI COSA PIANGE?»


Il diverbio prosegue in una comunicazione tra sordomuti dove noi ci scusiamo, il padre minimizza, il bambino piange e la madre sbraita insulti sbavando. Stiamo cominciando ad attirare un po’ troppo l’attenzione quando da dietro di noi appare Ario, visione che paralizza la donna.


«Signora, mi scusi, permette?» fa prendendo la mano del bambino.
«Sei amico loro?» domanda la pazza.
«Il bambino piange perché lei grida, signora» dice chinandosi davanti alla sirena umanoide.
«Ss-s-sh, tutto bene, tutto bene, passato tutto»
Il putto si quieta all’istante. Due tre singhiozzi, tre respironi profondi, occhi attenti, ora fissa Dario con interesse. Anche la madre segue l’esempio. Tutte le quarantenni assumono una particolare espressione quando si trovano davanti Ario. Sembrano sempre molto stanche e compiaciute.

«Ma tu… lei… tu. Tu, quanti anni hai?» domanda riprendendo la mano del figlio.
«Ne ho venticinque, signora» sorride mentendo di sei anni.
«Ah» mugola «eeee… come mai hai esperienza coi bambini?»

La domanda già di per sé sarebbe frivola, visto che il marito è a fianco, noi ti abbiamo appena pallonato il bambino e fino a pochi istanti fa volevi farci squartare da una mietitrebbiatrice. Io ed Atza lo notiamo appena, siamo molto più preoccupati della risposta che darà Ario. Mentirà. Dirà che è un pediatra. Dirà di essere figlio della Montessori. Inventerà un’infanzia in orfanotrofio mescolando Oliver Twist e Rocky. Dirà

«Più che altro ho esperienza in donne che gridano.»


















Inspiro quanta più aria posso. Atza si mette le mani sui fianchi, guarda per terra. Si gira verso il mare.

«…ma cioè? E’ pompiere?» domanda Francesco il marito.


Atza ora solleva la testa verso il cielo, sussurra “forse è meglio se andiamo” con voce traballante, il che peggiora la situazione sia per me che per lui. Io mi mordo la parte interna delle guance e contraggo le dita dei piedi notando che una scheggia di conchiglia è giusta sotto. Stringo più forte ringraziando Dio per questa inaspettata fortuna. Atza non sembra sentirsi molto bene, suda, ha gli occhi lucidi.

«No, no. Bè, comunque possiamo dichiarare concluso l’incidente?» fa Ario.


Si può dichiarare concluso. Ce ne andiamo cercando di mantenere un certo contegno, dopo neanche dieci passi ci viene incontro Solero tutto sorridente con lo zaino in spalla.

«Solero, diocristo, te ne sei persa una atomica»
«Ario Siffredi, se restavamo lì tre minuti in più facevo un embolo»
«Intanto è Nebo che ha mandato tutto a puttane»
«Vero»
«Ah io, mica te che sei diventato Manolo il Punteruolo»
«Manolo il punteruolo?»
«Lasciamo stare, ho bisogno di drogarmi»
«Questa è un’idea della madonna. Solero, carica il pezzo»
«Massì»
Un momento.

«Scusa, ma se te sei qui la nostra roba chi la guarda?»
Il ragazzo indica alle sue spalle i nostri asciugamani:















«LE FICHE!» ringhia Ario prendendo la spalla di Solero «come ci sei riuscito? RAPIDO, non rallentiamo, continuiamo a parlare, naturali, camminate alla via così. Solero?»
«Gesù, le ha annichilite di ganja»
«PERFETTO, SOLERO, SEI UN CAZZO DI DIO DELLA GUERRA»
«Ma non ha avuto tempo. Siamo in una spiaggia pubblica, poi»
«Come stracazzo sei riuscito ad attaccare discorso?»
«Le avrà ricattate?»
«Solero, mica parleresti, per una volta?»

«Gli ho offerto un gelato»
Ci fermiamo.





Il senso della vita ci è stato rivelato da uno sconosciuto narcotrafficante sulle spiagge della Liguria nell’estate del 1997.