08. Moby Dick




Solero ha già fatto la sua parte e non è propriamente un oratore nato, Ario è meglio se tace, i soli in grado di tenere banco restiamo Atza ed io: un dark depresso di 18 anni fatto come una faina ed un rapper iperallegro di 17. Schillaci e Maradona del rimorchio, praticamente.


«ALLORARAGAZZE, da dove venite?»
«Spotomo»
«Ha ha ha ha, è una pubblicità gay?»

Ecco perché non abbiamo Facebook. 
Le persone normali hanno amici da trovare, noi abbiamo gente da cui nasconderci. 



Dopo un inizio catastrofico si lasciano andare. In una ventina di minuti giochiamo a pallavolo, il pomeriggio passa abbastanza bene. Alle 19, stanchi ed affamati, una di loro ci invita nella pizzeria di suo padre che sta giusto lì di fronte. Con addosso tre stracci ed il costume ci incamminiamo. Noto con la coda dell’occhio strani sguardi tra le ragazze. Dei miei nessuno ha notato niente. Bòh. Il padre è un sardo appena sbarcato che tenta di parlare il dialetto ligure. E’ estremamente difficile resistere alle fitte che assalgono le nostre guance ogni volta che apre la bocca. In un vortice di “aiò ma sièu veneziaNni”, “trattaTe ben le ragà-Zze” porta pizze e coche per tutti. Le donne vanno in bagno in massa. Ragazzi,


«…qualcosa non torna»
«Già notato, tranquilli» fa Ario «eventualmente abbiamo i soldi per pagare»
«Eventualmente?»
«Non è quello, c’hanno un atteggiamento… bòh, non mi piace»
«Allora mi trombo anche la tua»


Ritornano, tutte allegre come allodole. Mentre ci raccontiamo cagate la sensazione aumenta e l’immagine dei marinai trasformati in maiali dalla maga Circe si fa via via più vivida. E’ qualcosa nel loro sguardo, quel modo di essere accomodanti. Sono troppo gentili con quattro avanzi da barena, sembra aspettino qualcosa o qualcuno. Le risate suonano fasulle. Sinistre, grottesche bocche che si spalancano in un verso che deride, più che ridere. Sanno qualcosa che noi non sappiamo. Lo si capisce dal modo di fare docile e tranquillo. Ti ricordano… 

«…e allora lui dice “non lo so, ma ho il culo in fiamme!»
«Ha! Ha! Ha! Carina!»
Quelli che ti domandano quanti libri leggi all’anno? 
No.

«Hihihihi»
«Ah, ragazzi, a proposito…»
Quelli che domandano se ho qualcosa contro gli ex tossicodipendenti? 
No.

«…lei è Alberta»
I seguaci di una setta religiosa quando guardano la vittima sacrificale? 
Sì. Ecco.


Bravo.

Alberta è un feto abortito dal ventre di una assassina impiccata ad un albero marcio; trovata nella pozzanghera di urina e feci ai piedi del corpo materno è stata raccolta da una lebbrosa che l’ha svezzata a latte contaminato. Buttata in un riformatorio, è stata educata da Provenzano che la sfamava dandole avanzi di McDonald, cadaveri e album dei Pooh. Venendo qui dev’essersi esposta ad una dose letale di radiazioni perché la sua faccia è un mix di brufoli deflagrati, crateri rossastri ancora fumanti, carne viva, punti neri che spuntano a mò di dredd e contusioni, prova di un’ultima disperata difesa dei suoi amanti prima stuprati e poi divorati.

«Uèh» gorgoglia tenendo a mezz’aria una patatina fritta. 




E’ chiaro che qualcuno di noi dovrà improvvisarsi Achab e conficcare l’arpione rosa dentro Moby Dick permettendo agli altri di trapanare le altre in santa pace. Nei volti dei miei compagni leggo orrore, incredulità, spavento. Sguardi allarmati che comunicano scarso entusiasmo all’idea di andare all’arrembaggio della chiatta del mar Ligure. 


«E-ehilà, Alberta, piacere»
«Dai, Alberta, siediti con noi! Ragazzi, spostatevi, facciamole spazio»
«Come faccio, apro un’autorimessa?»
«ARIODIOCRISTO»
«Cos’ha detto?»
«Niente, spostiamo la borsa con gli asciugamani…»

Con la scusa di fumare usciamo tutti fuori. Ario borbotta a toni sempre più alti, finché inevitabilmente una ragazza esordisce con: «No, adesso dimmi cos’hai detto» 
«Domandava… eeeee… DI CHE SEGNO SIETE, RAGAZZE?»
«MADDAI, sai le caratteristiche dei segni?! Io capricorno!»
«Vergine!»
«Scorpione!»
«E tu, Alberta?»
«Cancro!»
«Credevo teniaaah il piede bastardo di merda» 

«Tenia? Cos’è?»
«E’… è un segno zodiacale nell’alfabeto… no, nella costellazione… » tento di rimediare.
«Calendario, mongoloide»
«Nel calendario mongoloid.. cinese. Il calendario cinese.»
«DAI DAI DAI DICCI I NOSTRI SEGNI CINESI DAI DAI DAI»

Le sole nozioni sullo zodiaco le devo ai cavalieri su Odeon TV. Pegasus era un elettricista, Sirio era vestito da imbecille, Andromeda era un travestito, Crystal era gay, Phoenix rompeva il culo a tutti e poi c’era Lady Athena che la calava un po’ random e si beccava la sifilide da un segno extracomunitario. Solero, Atza ed Ario si mettono comodi aspirando le Marlboro light e lanciando sadici sogghigni. 

«Allora, il primo segno del calendario cinese è il… il drago, poi c’è.. la scimmia…»
«E IL DRAGO A COSA CORRISPONDE?»
«Uuh… ariete. Sì. Persona forte, l’ariete»
«Non era il leone?» domanda Atza.
«No, la scimmia, che invece è il segno della mamma di Atza…»
«La spaccafiletti, che invece è tua sorella…»

«Hahahaha, che simpatici!»

«Senti, vaffanculo, chi li sa i segni, tu o io?»
«Oh, calmino, si scherza»
«NO TU MIA SORELLA LA LASCI STARE, VA BENE?»

«Ahahaha dai ragazzi hahaha calmi hahaha che simpatici!»

«Nebo, tranquillo, sono le solite cazzate tra noi, mi dici c»
«E NON TOCCARMI CHE SEI UN SEMIANALFABETA IGNORANTE DI MERDA CHE SI METTE A.. »
«A…? Cosa? No, dì, adesso dillo»
«EH, CHE HAI CAPITO»
«NO, ADESSO LO DICI»

Ario mi spinge indietro, gli tiro una sberla in piena faccia. Resta immobile un secondo, me la ritorna. Incazzato, non capisco più niente. Sparo un cazzotto mentre lui scatta di lato.

«HAHAHAHAHAHAHAHA H AHA HA H

La faccia di Ario mi costringe a seguire la traiettoria del mio braccio in un drammatico movimento alla moviola. Le nocche del medio e dell’anulare puntano decise il naso di Alberta che, muggendo d’orrore, chiude gli occhi. Al primo contatto avviene una deflagrazione di pus, fondotinta e grasso, poi il setto nasale si spacca in un cràk cartilaginoso. La spinta imprime al deforme corpo di Alberta una rotazione antioraria. Ruota di 360° ed impatta su uno dei tanti tavoli di plastica bianchi, lordandolo di sangue. Le ragazze urlano, i clienti accorrono, gente sbraita. Ho rotto il naso alla figlia di un sardo.