Storie di droga in un mondo che si droga

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Conoscevo Consuelo dai tempi dell’AIDA, un drogatoio di Jesolo chiuso per innumerevoli reati nel ’99.

E’ una bionda ossigenata con cinque centimetri di ricrescita, sopracciglia depilate e ridisegnate a pennarello senza motivo, occhi azzurri che guardano il mondo come un cane guarda un gioco di prestigio con le carte, piercing al naso, quarta di reggiseno, manigl corrimani dell’amore, tribale sul culo, gambe tozze e sgraziate regalo di generazioni di tiratori d’aratro. Le Consuelo d’Italia solitamente restano gravide prima dei 20 perché il fiocinatore di turno, causa abitudine, si lega il goldone alla base del cazzo a mò di fifì credendo funzioni con il principio del laccio emostatico. Consuelo è sfortunata. Nel ’99 a Mestre cambiano i vertici della polizia, scopa nuova fa rumore e i tutori della legge aprono i fascicoli targati “inutili coglioni senza futuro”. La sua compagnia viene ferocemente triturata e Consuelo passa da “Io e te 3msc” a “un happy meal e una coca media”. Nel 2000 lavora al merdonald della stazione e la dà in omaggio col McMenu, ansiosa di trovare qualcuno che le fecondi l’unico ovulo non illegale al suo interno.

«Eccoci arrivati!» esclama Atza, girandosi verso di lei «hai fame, Consuelo?»
«Che sboro, me magnaria ea mona de na morta»

 

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In giro corre voce questo biondo parabordi covi un tesoro nascosto. Il suo fidanzato Misha di professione “ho lo scooter” le aveva affidato un intero mattone di fumo. Quando la mannaia in divisa si presentò a casa dello scaltro scooterista fu talmente estasiata dal quantitativo di droga presente da non soffermarsi nei dettagli, e il mattone andò perduto nelle 876486546 pagine di verbale necessarie per spedire Misha a lucidare scroti magrebini. Per qualche mese Consuelo se ne dimentica, poi ne parla alla migliore amica che ne parla alla migliore amica e in tre settimane il merdonald ha una fila di rottami ansiosi di uscire con lei. Tra loro c’è Atza, che ne esce vincitore grazie al fascino da metallaro con occhio infossato, pallore mortale, aria dimessa, trench di pelle nera e rullanti riverberati sotto la pioggia.

«Dai, vedrai che ti piacerà, vero Nebo?» chiede Atza, guardando nello specchietto retrovisore.

 

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«…Nebo?»
«Ciò, dio can, ma gò da caminàr in ‘sto luamaro?» domanda Consuelo osservando il fango sottostante «vara che gò ‘e scarpe de Gucci!»

Atza per avere la droga deve trombarla e per trombarla deve portarla fuori, ma c’è un problema: senza divisa del McDonald, Consuelo veste sobria come un’ucraina ubriaca. I tacchi della madre la obbligano a camminare come un tirannosauro, calze autoreggenti cinesi sporgono da minigonna inguinale leopardata, maglione cinese con decolleté aumentato a forbiciate illustra un paradiso di carne eccessivo anche per un bordello di Saigon; collo, orecchie e polsi totalizzano più oro di Mister T. E’ impresentabile in qualunque posto Atza sia anche solo remotamente conosciuto. Deve quindi condurla in luoghi ove gli umani sono in percentuale inferiore ai bovini. Opta per un trogolo a Mellaredo di Pianiga, amena località di lap dance e cadaveri interrati.

«Magari avvicino la macchina» sorride Atza.
«E ghe sboro, voria anca vedar! ‘e go pagae duzento euro, sa!»

Siccome li ho presentati io, almeno la prima sera devo fare il gesto di uscire con loro. Ecco perché entriamo in tre nel locale.

«I mi morti, xé roba da schei!» trilla l’elefante.

In realtà, no. E’ un cacaio dove maschi di ogni età e provenienza portano le loro vergogne a cenare per dare loro un’impressione di socialità prima di scoparle o squartarle in oscuri motel. In questo caravanserraglio l’aria profuma di promesse di divorzio, suppliche di sconti e ignobili menzogne sul proprio status lavorativo. Attraversando i tavoli trovi chirurghi che si spacciano per ragionieri e ragionieri che si spacciano per chirurghi, pompieri, SEALs, incursori della marina, ghost writer di Fabio Volo, registi televisivi, agenti della CIA. Al nostro ingresso tutti i maschi si girano in preda al panico. Chi siamo, testimoni scomodi? Conoscenti della moglie? Ci squadrano, deducono “threesome con grassona, uuuno di noiiii, voi siete uuuno di noiiii” e tornano a guardare il volto delle loro perversioni. Durante la cena Consuelo esprime il proprio gradimento a bestemmie, tracanna mezzo litro di rosso e si smolla. Sbocconcellando il tiramisù semicongelato, confessa. Possiede il tesoro. Cosa più importante, ne ha con sé massicce dosi.

«Ciò» ammicca «dopo xé femo do bombe?»
Annuiamo con convinzione, senza sapere quello che sta per succederci.

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Di ritorno l’atmosfera è molto più allegra. Decidiamo di rullare le trombe e squillare i tamburi in camporella. Siamo a Mellaredo di Pianiga, l’asfalto è oggetto di venerazione da parte degli abitanti, non è quindi difficile trovare uno sterrato erboso che scende piano nel buio, allontanandosi dalle luci gialle della statale. I fari della Y10 di Atza illuminano un muro nero tagliato dalle goccioline di pioggia. Facciamo altri dieci metri. L’erba lascia il posto alla terra, i fari illuminano una fila di vigneti. Spegniamo il motore e ci mettiamo all’opera. Il fumo è un po’ invecchiato ma niente male, Ce ne facciamo tre e stiamo lì a ridere come idioti di cose che non fanno ridere, tipo stilare un elenco dei conoscenti caduti durante il proprio dovere. Tre overdosi, cinque carcerati, due accoltellati, incidenti stradali e conseguenti mutilazioni, qualche suicidio.

«Devo pisciare» dice Atza, e tenta di aprire la portiera.
Qualcosa la blocca. Riprova con più convinzione.
La serratura si apre, la portiera non scorre.

«Haha, che ha?» fa Atza, ridendo.

Provo io dalla parte del passeggero. Uguale. Abbasso il finestrino e mi faccio luce con il cellulare. Sbianco. Senza aggiungere nulla esco dal finestrino e le Adidas sprofondano nel putridume fino alla caviglia.

«Atza» dico inorridito «ATZA»
«Cosa? Cosa c’è?!»

La Y10 è affondata. Non impantanata, proprio affondata. Le ruote sono quasi sparite, il fango arriva a tre centimetri sopra la linea della portiera. Chi riesce ad affondare in un campo? A parte i genovesi, intendo.

«Oddìo la macchina di mia madre!» grida Atza in preda al panico, accendendo il motore e innestando la retromarcia. Prima che io riesca a dire qualcosa un’ondata di fango e merda decolla da sotto la macchina e m’investe in pieno, glassandomi senza che l’auto si smuova di un millimetro.

«Ma…» balbetto «ma quei brutti cadaveri…»
«Cioè semo blocai qua? Qua drento?!» barrisce Consuelo nei sedili posteriori «semo drio afondàr nel leame? Ah no no no me manca l’aria, me manca el respiro, vojo ndar fora! Aah! Famme uscir!»
«Calmati» dice Atza.
«FIGA TA MARE» grida Consuelo, battendo i pugni contro il vetro.
«Ferma, oh! Esci dal finestrino, piuttosto!»

Dal sedile posteriore, abbassare il sedile impedisce l’accesso al finestrino. Il capodoglio spiaggiato allora tenta di scavalcarli, ma farla passare nell’intersezione di una Y10 è come cercare di far passare un’anguria nel culo di una donnola. La cicciabomba tenta l’impresa. Le riesce in parte. Frana spaccando il poggiatesta e rovinando di faccia sul cruscotto. Barrisce. Per girarsi, la montagna di lardo perde le scarpe e piazza un ginocchio in faccia di Atza, poi tenta il tutto per tutto ma il suo culo immondo non passa per il finestrino. Vi resta naturalmente incastrata con tette, braccia e trippa da una parte, portammerda e cosciotti dentro che si agitano come teste dell’hydra.

E tutto questo sa succedendo davvero, penso mentre un piede della mortadella umana scartavetra la faccia di Atza.

«Aiutoooo» urla Consuelo «tireme fora!»
Le afferro le mani e tiro. Le tette penzolano nel vuoto, lei si divincola urlando come una bestia scannata. Dall’autoradio parte “Alfieri” di Elio e le storie tese.

«NO VOJO MORIIIIIR»

In un mondo che ci è ostile, rovinato dalla drooogaaa..

«Rilassati» dico, appoggiando un piede alla portiera e tirando con tutta la forza che ho, scatenando una selva di ululati dalla mia parte e di oscene scorreggie dall’altra, la cui aria mefitica investe in pieno la faccia di Atza che urla anche lui, poi abbassa il finestrino e si eietta fuori tossendo.

«AH DIO NO NO FERMO CHE ME CAGO DOSSO, FERMO!» bramisce il parabordi.
«Ho un’idea» dico, mollandola «ma devo toglierti i vestiti»
«COSSA?»
«Uso il fango per farti scivolare fuori»
«VOLE’ SDRUPARME?»
«Ma no, deficiente» dico «ti faccio scivolare»
«NO VOJO CHE ME SDRUPE’»
«Consuelo, guarda!» dico, prendendo una manciata di fango e sparandogliela sotto le tette «vedi, è scivoloso!»

«Ma cosa cazzo dicihihihi» piange Atza, coprendosi la faccia mentre io giuoco all’allegro fanghetto ricoprendo i bordi del finestrino e ricominciando a tirare le mani di Consuelo, cosa che scatena una seconda selva di peti. Piange lei, piange Atza, qua l’unico che lavora sono io. Sto oramai strattonando il corpo esanime e semisvestito della butrona quando il contadino ci trova, richiamato dalle urla. Dobbiamo calmare Consuelo e convincere il latifondista – con fucile – che non la stavamo stuprando e che non è una prostituta, poi il vecchio va a prendere il trattore e ci libera dalle paludi di Mordor restituendoci un golem di palude al posto della Y10. Ritorniamo a casa fortunatamente senza incrociare pattuglie. Non rivedremo mai più Consuelo né parleremo dell’aneddoto, consci del fatto che se un sussurro fosse giunto alle orecchie di Ario avremmo finito di vivere per sempre.