Se questo è un biomaschio

Di recente Facebook ha implementato la possibilità di modificare il proprio sesso. Oltre a maschio e femmina, aveva aggiunto 50 opzioni. C’è stata un’insurrezione popolare, così le opzioni sono rapidamente diventate 71. Essendo io nato maschio con aggravante etero (che nella neolingua si pronuncia biomaschio, o cisgender) ho sempre pensato si potesse nascere maschi o femmine, e che ti potessero piacere maschi o femmine. Che c’era di complicato?

Oggi i miei amici, quando in Internet parlano al plurale, scrivono “ragazz*” con l’asterisco alla fine, perché se uno legge “tutti” ed è una donna, si sente escluso.

Non ho mai visto niente di tanto ritardato sullo schermo. Niente. Nemmeno quelli incapaci di tirarsi una secchiata d’acqua arrivavano a tanto. Cazzo, ora che ci penso nemmeno Vanessa che pensava fosse la Rice bucket challenge, arrivava a tanto. Il nuovo Blade runner dovrebbe avere come teaser trailer uno che entra in un ufficio, dice “buongiorno a tutti” e in un angolo una tizia scoppia a piangere.

Eppure è considerato un grande passo avanti. Nell’articolo, l’intervistat* dichiara che per la prima volta può andare in un sito e dire alla gente qual è il suo gender. Ma perché comunicare alla gente le proprie abitudini sessuali è così importante? Perché oggi uno deve dirmi “ciao, mi piace vestirmi da volpe e farmi sodomizzare da un nano ermafrodita”? Sembri Bran quando dice di essere il corvo a tre occhi, cazzo.

«Ciao, io sono Nebo.»
«Ciao, sono un* trans nonbinary queer lesbian transformer megatron.»

Però sapete cosa, ho 37 anni. Il mondo cambia, è interessante scoprire come. Ho così deciso di informarmi recandomi in una comunità LGBT (Lesbiche, gay, bisessuali e transgender). Entro, domando se sono nel posto giusto e uno si mette a urlare che avevo urtato la sua sensibilità: la sigla giusta è LGBTQIA (lesbian, gay, trans, queer, intersex e asexual). Il tizio non aveva ancora finito di insultarmi che dalla stanza di fianco sono fuoriusciti altri tizi indignati perché aveva emarginato delle categorie. La sigla giusta è lesbian, gay, bisexual, transgender, queer, questioning, intersex, intergender, asexual, allied, pansexual: in una parola, LGBTQQIIAAP. Me la stavo segnando sul taccuino quando una porta s’è spalancata e sono entrati due indiani Navajo qualificandosi come Two-Spirit: persone di etnia diversa da quella bianca che esigono una categoria tutta loro in segno di rispetto. La sigla è subito diventata LGBTQQIAAPP+2S.

In inglese si pronuncia El gi bi ti chiu chiu i ei ei pi pi plus two es.
Servono tre secondi e mezzo solo per pronunciarlo.

Si parte con l’agender, uno che si ribella all’ordine costituito autoassegnandosi gli stessi attributi sessuali di Ken. Poi c’è l’androgino, tipo Justin Bieber. Il bigender, uno sia maschio che femmina tipo i dinosauri di Jurassic park. Entriamo poi nella categoria cis, ossia gente sana di men a proprio agio con la propria sessualità. Si dice cisgender perché viviamo in un mondo in cui il panino è finger food, lo zoo è il bioparco, il magazziniere è lo storeroom manager, e nei menu un hamburger ha il cheddar, il bacon, gli onion ring.

Poi c’è Gender fluid, il tizio che avete conosciuto alla festa e a quella dopo si presenta vestito da donna e pretende di essere chiamato Cristina perché quella sera si sente femmina. C’è il gender nonconforming, uno che si ribella alle definizioni dei ribelli e sceglie di avere un genere sessuale non conforme a nessuna regola.

Qualsiasi cosa significhi.

Tipo così, immagino.

Ecco poi il gender questioning, uno che passa molto tempo a domandarsi se gli piacciono gli uomini, le donne o gli animatroni del villaggio dei pirati a Gardaland. Il gender variant, che vorrebbe essere qualcosa che la società gli impedisce di essere, qualsiasi cosa sia, incluso un elicottero militare. Il genderqueer invece non accetta che al mondo si possa nascere solo col pene o con la vagina: una battaglia sacrosanta. Il non-binary è la stessa cosa del bisex, ma più intellettuale. Il pangender invece si sente sia maschio che femmina, ma in percentuali variabili. Tipo 60% maschio e 40% femmina, che esce in base a quanto hai voglia di rovinare la festa universitaria agli altri. I trans invece hanno centinaia di sottogruppi, ognuno dei quali merita rispetto. All’università di Oxford è vietato rivolgersi al maschile o al femminile: al posto di “she” o “he” bisogna usare “ze”, termine neutro della neolingua per non offendere i trans.

A questo punto ho capito di essere vecchio e destinato all’estinzione. Vengo da un mondo in cui i rapporti interpersonali erano più semplici. Ti vedevi, ti conoscevi, ti piacevi, scopavi. Oggi mi trovo a non avere le competenze necessarie per rivolgere la parola a qualcun*. Mia madre mi aveva insegnato ad alzarmi quando entra una signora, ad aprirle la porta, a dare del lei, a regalare fiori, ad attaccare discorso per primo, ad annodarmi la cravatta. Tutta roba oggi vietatissima. Regalare fiori a una donna è considerato molestia. Anche aprirle la porta. Persino se mi metto la cravatta sono sessista. La verità è che non capisco un mondo dove per calcolare equazioni basta premere un tasto mentre per capire se possiamo innamorarci prima devo laurearmi e prendere un master.

 

Uno studente mostra con orgoglio il prestigioso master,
ottenuto all’Università di Pavia.

 

Mi trovo a empatizzare coi millennials che invece di scopare preferiscono stare a casa a guardare serie TV e schiantarsi di psicofarmaci. Chi te lo fa fare, a interagire con qualcuno senza prima aver verificato il suo gender sui social? Che ne sai se in quel momento si sente più Clara o più Francesco? Sbagli un pronome e sei fottuto. Ti screenshottano e il giorno dopo vieni licenziato. O magari quello ti accusa di molestie.

Inoltre, secondo Tom Ford, ogni uomo dovrebbe farsi penetrare almeno una volta per capire meglio le donne. Ma per la madonna, adesso non bastano più le sei ore davanti ai camerini, i pianti da sindrome premestruale, il mestruorage, le tendine coi fiorellini e il tappeto della camera che richiama il quadro della testiera del letto?! Non bastano i “dobbiamo parlare”, i silenzi passivo aggressivi, i “cos’hai niente”?! Devo pure prenderlo nel culo?!

Calma.

Forse hanno ragione i miei amici nella moda a dire che il biomaschio è destinato a diventare minoranza e poi a estinguersi in favore di una sessualità fluida e intercambiabile. Il Time ha dedicato una copertina, a ‘sti gender. In giro per il mondo, le cose stanno cambiando parecchio: a otto anni del sesso mio o altrui manco ci pensavo, l’unica cosa che volevo a ogni costo era lui.

Oggi, alla stessa età, Lactatia è una transgender canadese.
In Svezia, sullo stesso discorso, fanno dei talent seguitissimi.

 

Quindi boh. Staremo a vedere. Ultimamente ho la sensazione di guardare gente di ogni tipo appiccicare manifesti diversi sopra un solo monolite che nessuno sembra voler vedere, ma che li unisce tutti. Cosa sia, ancora non lo so.