Da quando sono su Facebook m’hanno invitato in tutti i gruppi chiusi del mondo. Qualsiasi cosa con favelas, degrado, pastorizia, etc. Tutti.
Dentro trovo i soliti quarantenni che fumano canne e si sentono Escobar, i soliti trentenni felpa&calvizie che cercano di darsi un tono e le solite pornofoto corredate da insulti tipici dei repressi (caGNNe, tRRoie, eccetera). Di solito mi disiscrivo dopo tre post. Soltanto un sociopatico mai uscito dalla cameretta dei genitori può pensare quella roba sia da duri o divertente. Nel mondo reale i maschi rispettano chi riesce a rimorchiare, a fare bene un lavoro, a guadagnarsi da vivere, a difendersi e aiutare il prossimo. La lingua è il cazzo degli impotenti, gli insulti sono i pugni dei codardi e i membri di queste pagine sono sbarbati o cialtroncelli che ridono tra benzodiazepine e crisi di panico.
Purtroppo qualche giorno fa gli stimaticolleghi ne scoprono l’esistenza e per incanto un manipolo di perdenti diventa “la cultura dello stupro”, “gruppi per uccidere le donne” con lo stesso principio per cui un cazzotto diventa “massacrato di botte” o un tamponamento “inferno in autostrada”.
Ne risulta il solito starnazzar di penne nell’aja che riassumo in questa gif.
È emozione, non informazione.
Cioè immondizia.
Purtroppo ogni volta che Selvaggia Lucarelli giuoca a la Stella della senna delle baraccopoli, nella mia casella messaggi fioccano richieste di commenti sul suo operato. A cui non rispondo, perché piuttosto di parlarne mi piallerei lo scroto con una grattugia arrugginita. Ma dato che i messaggi su FB stanno diventando tantini, chiudiamo ‘sto discorso una volta per tutte.
Dunque.
Insultare qualcuno in Internet attiva lo stesso meccanismo psicologico del gioco d’azzardo: soddisfazione immediata, quindi dipendenza. Fateci caso: è molto più difficile ignorare che insultare, perché l’odio è una droga. Ogni volta che vedo gente screenshottare i propri arguti commenti in risposta agli status di qualche VIP io vedo questo.
Sono tossicodipendenti.
Il lavoro di Lucarelli, Salvini, Adinolfi, Grillo etc. consiste nel raccogliere le deiezioni emozionali della suburra, attaccarci il proprio nome sopra e venderle alla massa, che a suon di commenti e condivisioni eleva il venditore a “personaggio controverso”. Ossia uno che in radio, TV e giornali garantisce valanghe di ascolti, quindi di soldi. Succede grazie agli haters, non ai fan. Se una cosa ti piace, solo premere “like” ti fa fatica. Ma se una cosa ti fa incazzare allora parte la risposta, lo spam ossessivo, la ricerca di supporto, le condivisioni, gli insulti. Quando vedi un filmato su Youtube che ti piace, spesso ti dimentichi di mettere il like. Viceversa metti il dislike e aggiungi il commento.
Se vuoi fare numeri veri, in Internet, devi procurare odio e linciaggi.
Pagine degrado: le donne sono troie, linciamole. Lucarelli: gli uomini sono sessisti, linciamoli. Salvini: gli immigrati caccapupù, linciamoli. Marcianò: gli scienziati mentono, linciamoli. Grillo: i politici arrubbano, linciamoli. Adinolfi: i gay fanno schifo, linciamoli. Animalisti: gli umani sono cattivi, linciamoli.
È sempre la stessa formula.
Ai capipopolo non importa nulla di chi difendono. Donne maltrattate, popolo italiano, gente che non arriva a fine mese, animali, sono pretesti. Scuse per massacrare idioti a caso legittimandosi con la legge del taglione. E lo fanno perché nel medioevo in cui viviamo odio e sangue fruttano barche di soldi.
Una persona sana di mente, se ha tempo libero, legge cose che gli interessano. Coltiva le proprie passioni. Lavora per migliorare la qualità della propria vita. Assorbe positività. Ecco perché ogni giorno cerco di non cascarci. Quindi, per favore, non scrivetemi cosa penso delle ultime novità in hate parade. Sarà stronzo e snob, ma ho di meglio da fare.