Capitolo 1 – Grandi cose

 

Nell’agosto del 2001 sono all’università a Trieste. La morosa a Venezia mi ha mollato per un campione di tennis ricco di famiglia con carte da 200 euro nella borsa degli spiccioli. Mi manda un sms con su scritto “mi aspetto grandi cose, da te, Nebo”. L’ultima immagine che ho sono loro due che mi passano davanti su un TT decappottabile mentre vado al mio primo giorno di lavoro come banconiere in piazza a Mestre.

Le auguro di uscire presto dalla rianimazione.

Ho una mezza tresca con la mia collega, Miriam, una truzza dai capelli rossi e gli occhi verdi come la nostra laguna. E’ soffice e forte. La sera quando la padrona non c’è e l’altra fa i toast pomiciamo nel retro con la scusa della sigaretta. Siamo nascosti nel buio del magazzino, con le mie mani che le alzano la gonna e lei che le ferma ogni giorno più su. Stando ai miei calcoli per metà settembre riusciremo a collaudare le cassette dei Pago. Fuori l’estate passa tra turisti ubriachi, portaceneri da svuotare, piccioni voraci e litigate sugli straordinari. Mi ricordo l’odore dell’ammoniaca e i fermi per le tovagliette. Ogni notte, quando lego i tavolini che tra qualche ora dovrò slegare, annuso l’aria che sa di malinconia e di opportunità. Guardo la mia vita cambiare tra un bacio rubato e una birra annacquata ai tavoli. Quando torno a casa mangio scatolette di tonno e mi metto a lavorare sulle canzoni. Fumo Lucky Strike. Dormo poco ma bene. Ogni mattina faccio 11 trazioni alla porta del bagno e 5 serie da 40 flessioni. Mi addormento pensando a come dev’essere stare dentro Miriam.

E’ domenica sera e in giro non c’è un cane, forse per il temporale del pomeriggio che ha rinfrescato. Alle 22 la padrona getta la spugna. Abbiamo già tirato dentro i tavoli e sto passando il mocio quando alle mie spalle arriva il rompicoglioni. C’è sempre. Sospetto attenda nell’ombra finché non vede il bar chiudere, a quel punto emerge con le richieste più idiote.

«Solo un caffè, poi vado via»
«Mi dispiace, abbiamo già spento le macchine» fa Miriam alle mie spalle.
«Lo so, giusto uno al volo. Devo guidare, è tutto chiuso. Per favore»

Miriam ha quell’attimo di esitazione di chi può essere forzato. Senza quel mezzo secondo tante cose non sarebbero successe, sul braccio non avrei la cicatrice di una coltellata, il mio premolare non sarebbe una capsula e forse avrei finito l’università. Alle mie spalle arriva la richiesta d’aiuto. Mi giro.

«Nebo, faresti un caffè per il ragazzo?»
«NEBO!!» grida lui.

Mi si presenta in jeans, scarpa lucida, camicia azzurra sbottonata su catenina, giacca. Il viso è lo stesso di allora, però con poca barba e tantissimi capelli. Si chiama Alessio G, eravamo insieme alle elementari. Sfodera un sorriso entusiasta e fa tre passi avanti, calpestando il mio lavoro di mocio.

«Oddio non ci credo, sei proprio tu! Uguale!»
«Tu invece sei cambiato parecchio, Ale» dico.
«Me lo dicono tutti. E tu?! Che fine hanno fatto i capelli?!»
«Li ho incollati sulla faccia per protesta»
«Haha, sempre lingua lunga, tu!»

«Quello sicuro» commenta Miriam fuoricampo.

Sistemo i piatti, i portaceneri, chiacchieriamo dei vecchi compagni di classe. Alcuni li ha visti ancora, altri no. Dice che non si aspettava di trovarmi lì. E’ simpatico, allegro e curioso, una di quelle rare persone che preferiscono scoprire gli altri che sé stessi. Quando abbasso la saracinesca neanche noto Miriam allontanarsi infastidita. Ale è magnetico, ha i connotati stravolti dalla vita e gli occhi che mandano strani bagliori.

«Senti, ti va di berci due robe assieme?»
«Ok, tanto domani posso dormire. Anche se qui a Mestre non c’è niente d’aperto»
«E chi ha detto qui, andiamo a Treviso»
«Stavo per dirlo io»

Per strada discutiamo dell’esaltante carriera sessuale di Valentina quando tira fuori le chiavi e fa lampeggiare una TT decappottabile. Per un secondo rivolgo lo sguardo ed i pensieri alla madonna che tanto ha in comune con la mia ex compagna di scuola.

«Cos’era quella faccia, sarai mica diventato noglobal, contrario agli status symbol…»
«Eh?»
«Monta, pelato»

Stare seduti dentro una TT è fighissimo, sembra un F-117. Ho un flash della mia ex che fa un pompino su questa macchina. Scuoto la testa e mi concentro sugli interni, belli anche per un profano come me. Con il cambio poi le sarebbe difficoltoso, e dietro non possono scopare perché è strettissimo. Haha, stronza, e adesso? Nella mia 600 si andava da Dio, lui dove ti tromba, a parte la baita a Cortina? A parte quella romantica terrazza del suo appartamento a Milano?

«Hai detto Mirano?»
«Eh?»
«Dico, hai detto “Mirano”. Vuoi che andiamo a Mirano?»
«Treviso va benissimo»

Accende il motore, un rombo cupo e minaccioso.

«Visto che andiamo là dovrei vedere due persone, poi ce ne andiamo a bere e a guardar tette. Te gusta?»
«Le tette sono la stella cometa per i miei tre re magi qui sotto, amico mio» rispondo.
«Allora vamos!»
«Che è ‘sto spagnoleggiamento?»
«Amicizie sudamericane, dai e dai un po’ ti rimane. Ci sei mai stato? Caraibi? Cuba?»
«Ho il wallpaper»
Ride.

Vengo schiacciato contro il sedile dalla guida di un pazzo. Lascio alle mie spalle il bar, la Miriam, l’università, la musica, gli amici. L’umore è alto, il serbatoio è pieno, la notte è giovane ed ho 21 anni. Il terraglio ci accoglie come un maitre premuroso.

A trenta chilometri da noi, in un autogrill, un uomo nervoso paga un pacchetto di Marlboro. La cassiera ringrazia e gli augura una buona serata. Il tizio ha la faccia sudata, l’occhio sbarrato e se ne va urtando gli altri: «Sarà bene che sia una buona serata, signora, o qualcuno è la volta che si fa male»