5.30, pioggia rada, strade deserte. Ancora buio. Sul sedile del passeggero Clelia guarda fuori: «Certo che Mestre fa veramente schifo» commenta.
«Tu di dove sei?»
«Dal paese dei cazzi miei, si campa cent’anni» fa Clelia, senza girarsi «non siamo amici, Nebo, voglio solo vedere ‘sti cojoni che s’affettano e tornare a casa senza rischio di finire inguaiata. Se affettano te son pure contenta, tra parentesi»
«Ma perché?!»
«”ma pecchè, gnegnegnè”» mi fa il verso lei «guida»
Guido.
«Io ho il cazzo e tu nooo, io ho il cazzo e tu nooo» canticchio.
«’sta giornata finisce con te che crepi dissanguato e io che mi sgrilletto, fidati»
Capisco che dalla portatrice di caduceo non riceverò alcun conforto morale o fisico. Venti minuti di silenzio dopo parcheggio sotto casa di Luca. Ci sono tutti, più un tizio sulla quarantina. Facce tese, voci scherzose troppo alte per essere credibili, occhiaie, sigarette. Guardo meglio il nuovo arrivato. Occhio verde, capello grigio, seconda metà della quarantina, jeans, camicia, scarpa elegante, cappotto. Bell’uomo.
«Lei è la quasi dottoressa Clelia Ceccarelli» dico, presentandola.
Piaceri vari.
«Lui è il testimone» fa Ario, dando una pacca al tipo.
Quello sorride, mi stringe la mano: «Valentino. Per me è molto importante essere qui. Grazie»
Prendo Ario in disparte.
«Da quale abisso umano hai pescato quest’individuo, Dio maledica te e la tua stirpe?» chiedo.
«Guarda, come testimone volevo portare il mio amministratore di condominio perché so che gli piacciono ‘ste cose, quando tromba la moglie si sente tutto, lei lo chiama Spartacus, frustate, botte, urla, robe così. Fatalità lei gli sgama i debiti del videopoker e Spartacus vola fuori di casa con piatti, polizia, gente in strada, pompieri e lui sul cornicione che minaccia di buttarsi. Pacco. La notte faccio per andare in puttan tour che m’ispira, ma in via Torino vedo ‘sto tipo sul marciapiede che piange, dico che non conosco il problema ma che nella vita c’è comunque di peggio, tipo voi sfigati. Lui s’interessa, chiacchiere tutta la notte, cannetta, caffettino al bar ed eccoci qui»
«Hai portato come testimone un tizio che conosci da quattro ore» ruggisco guardando l’orologio «conducimi nell’orrore, guidami, come hai convinto il signor Valentino-non-c’entro-un-cazzo a seguirti?»
«Gli ho chiesto se ha mai visto un duello, ha detto no, eccoci»
«Hai idea di chi è, che fa, perché piangeva?»
«No. Se ha bisogno di aiuto parla, mica è una fica scema che devi tirarglielo fuori col cucchiaino e poi frigna pure che le fai violenza verbale. Dio, quanto mi piace avere il cazzo. A proposito, ma ‘sta Clelia? Orgiata?» sgomita.
Partiamo con due macchine. In una Ario, Valentino e io, nell’altra Clelia, Luca e Atza. Mezz’ora di strada dopo i fari illuminano un gruppo di persone a ridosso del muro di una villa, un BMW serie 4 e una Peugeot 305. Due tizi impugnano lanterne in ferro battuto. Scendiamo tutti. Vediamo i due paggi, un uomo sulla cinquantina dall’aria sfigata e un ragazzotto sulla ventina.
«Il signor Tranquilli, secondo duellante. Il dottor Favaro, farmacista e pranoterapeuta di acclarata fama…»
«Ma benissimo!» esclama Clelia con un sorriso incredulo «mi dovevate avvertire, e io che in macchina ripassavo chirurgia generale. Illustrissimo, qua la mano!»
Il dottor Favaro la stringe con un sorriso orgoglioso: «Dottoressa…»
«No macché, mera laureanda. Però posso pure tornare a casa, se c’è lei con una ferita da penetrazione gli facciamo due aspirine e bacino passa tutto, no?»
Il farmacista ritrae la mano, confuso.
«Buone notizie, Vin Dildo!» batte le mani Clelia, guardandomi «prevedo n’orgasmata mondiale, ahahahahah»
Penso la ucciderò.
Il signor Tranquilli è uno sfigatello con le spalle a coppo, l’aria di chi non ha mai preso un pugno in vita sua e i vestiti scelti dalla mamma. Il problema sono i suoi occhi saccenti, astiosi e divertiti di chi pensa che sì, fuori uno come lui lo usano per pulire i cessi, ma qui non siamo nel mondo reale. La porta della Peugeot si apre e appare un babbeo di ventitrè anni al massimo, vestito da ricostruzione medioeval piratesca o che stracazzo ne so io. Ha pantaloni larghi viola, forse di velluto, camicia bianca e giacca di pelle scura, cintura, stivali di pelle scamosciata. Stranamente normopeso.
«E la maledizione del primo brufolo, lì, chi è?» domanda Ario.
«Il visconte Poldin» dice Atza, spogliandosi e infilandosi una camicia larga.
«Se ti fai ammazzare da quello giuro che vengo a pisciarti nel vaso dei fiori»
«Signori, grazie a tutti per essere venuti» esordisce il visconte, fissando Clelia «sono il visconte Andrea Poldin. E lei chi sarebbe, mia splendida dama? Qual è il suo ruolo, qui?» si china lui prendendole la mano.
«Clelia Ceccarelli» risponde, mimando una riverenza «sono qui per trarre piacere nell’assistere a uomini seminudi che si affettano e, in subordine, tentare controvoglia di rattopparli»
A Poldin si scioglie la faccia: «Non c’è nulla da scherzare, dottoressa»
«Io sono serissima, visconte» sorride lei, facendo un passo indietro.
«Io sono il visconte Atzori, dei draghi gialli» fa Atza «I miei paggi, il signor Dariolani e il signor Bisoffi, il mio secondo, il signor Nebo…»
Faccio un cenno con la testa all’altro secondo. Quello fa un sogghigno ironico e si gira dall’altra parte. Non so come mi abbia preso le misure, ma ha capito benissimo che ho capito benissimo che sono fottuto.
«La dottoressa Ceccarelli l’avete già conosciuta e il testimone, il signor…» si blocca, incerto.
«Andreani. Cioè, Valentino» dice l’uomo, tendendo la mano «non ho parole per ringraziarvi di tutto questo, ragazzi. Conta tantissimo, veramente»
Il vecchio paggio e Luca tirano fuori le spade, parlottano tra loro, le soppesano, le consegnano ad Atza e a Poldin. Entrambi iniziano a rotearle per i fatti loro, distanti. Ario va in macchina, tira fuori due calici di ferro e una bottiglietta di Ferrarelle.
«Prima di iniziare, il rituale di purificazione celtico deve avere luogo» sancisce, appoggiando i bicchieri sul prato e aprendo la bottiglietta di Ferrarelle «i due sfighi devono bere e giurare onestà al Dio… Dio Thor»
«No, un momento» fa il pranoterapeuta «gradirei prima sentire il contenuto della bottiglia»
«Prego, prego» dice Ario, versando nel bicchiere. L’uomo beve, se la rigira in bocca, ci pensa, deglutisce annuendo e restituisce il bicchiere ad Ario: «È acqua» sentenzia.
I due duellanti si avvicinano. Prendono i calici, si guardano bene dal brindare, bevono e buttano a terra i bicchieri vuoti.
«Possiamo iniziare?» fa il visconte Poldin.
«Non ancora» scuote la testa il suo padrino «c’è troppa poca luce. L’alba sorgerà tra pochi minuti. Pazientate»
I due gruppi si separano alla spicciolata. Poldin si chiude in macchina, Atza si mette vicino a dei cipressi con Valentino, Luca e Ario. Clelia mi raggiunge sorridente.
«Tu hai fatto testamento? Sei donatore?»
La ignoro.
«Dico perché potresti fare il bel gesto, in facoltà abbiamo quasi solo vecchi flosci» dice, tastandomi il braccio «senti qua. Tanto lavoro e rinunce è peccato buttarli, no?»
Silenzio.
«Voglio dire, il cervello va nei rifiuti subito, ma tutta la muscolatura e il sistema ner
«MA CHE SBORO» sbotto, tirando via il braccio «hai finito, psicopatica?»
«Nah, questi sono i preliminari. Inizio quando te starai lì disteso a gorgogliare sangue. Hmm… ci pensi?» mugola fingendo eccitamento sessuale.
Se ne va ridendo.
Io guido il bus in un cortometraggio su Clelia e la sua famiglia.
Come siamo giunti qui? Forse il punto è il Verdi. Una locanda al limitare di un ponte che collega adolescenza e maturità. Alcuni si fermano a prendere fiato per poi proseguire, noi invece siamo rimasti lì dicendo che ci saremmo andati domani e a furia di ripeterlo abbiamo visto gli ultimi della nostra generazione partire e quelli della nuova arrivare. Sempre seduti lì. Sempre meno felici, sempre più incattiviti e imbarazzati verso il mondo esterno. Volevamo essere giovani per sempre, e ora passiamo domeniche mattine ad assistere a duelli medioevali.
Qualcosa non ha funzionato.
Spunta il sole. Due padrini per parte coi secondi, duellanti al centro, Valentino distante che vigila, Clelia con la borsa in mano appoggiata al muro di fianco al medico. Senza nessun segnale, allargano le gambe e mettono la mano sinistra dietro la schiena, le sciabole che si toccano. La luce, il posto, la fotografia, sono di una bellezza senza tempo e di un ridicolo mai eguagliato.
Partiti.
Poldin scosta con violenza la sciabola di Atza e dall’alto cala due-tre fendenti che Atza para, indietreggiando con posa da manichino Standa. Affondo basso del visconte altezza palle, Atza scatta all’indietro proteggendo con metallico furore il suo secondo cervello. Poldin svela così alla platea la sua aggressiva maschia vitalità, ma manovrona barbatrucco stuprabomba di Atza che dal basso ruota la sciabola verso l’esterno accompagnando l’arma del visconte fino in cima, le lame fanno SWIIIIN, ora balza in avanti con un affondo brutal death norwegian dickwood. Poldin para, indietreggiando patetiplastico. Atza punta quella faccia di cazzo ma egli seguita a parare con atletico charme, c’è disprezzo, c’è disgrazia, c’è ‘a tarantella, colpo su colpo, ora affondi pallocentrici che Poldin para, ripara, tenta il magic shot di Atza e si saltano uno addosso all’altro, fianco a fianco, non si capisce che cazzo s’ammischiano, scappano via. Pausa. Secondo assalto di Poldin, aggressivo, prepotente, masculo, fendenti protonici diretti verso lo sputafigli di Atza con chiari scopi mutilatori. Solita rotazione di Atza ‘sto giro con TRAPPOLONE ignobile! Atza gli si getta contro tenendo la propria sciabola all’altezza del petto interrompendo la rotazione, il visconte nulla può contro questo sprezzante atto di fallocratico maschilismo segno di società patriarcale retrograda scopa-in-cucina e vi impatta. Gemito. Poldin indietreggia con una smorfia di dolore, la sciabola cade, si tiene il petto, crolla in ginocchio, sangue a fiumi, Atza alza le braccia al cielo come a impugnare i testicoli di Dio e lancia un urlo di trionfo annacquando all’istante ogni mutandina Tezenis nel raggio di molte miglia.
Durata totale, venti secondi se va bene.
Siamo paralizzati.
«FINISCILO!» urla Clelia «FICCAGLIELA NELLA PANCIA E STRAPPA, SVENTRALO!»
Ci giriamo tutti verso di lei.
Per un attimo resta lì, poi scuote la testa, prende lo zaino e cammina depressa fino al visconte. Si china, scosta la camicia, osserva tutto attorno.
«Visconte Poldin, lei ha perso» dice «se il disonore è troppo grande può togliersi la vita. Regalerebbe uno splendido aneddoto e anni di fantasie erotiche al genere femminile, oltre che dare un fulgido esempio di nobiltà. Desidera farlo?»
Poldin scuote deciso la testa, sudato fradicio.
«Uffa, dove sono gli uomini di una volta?» scuote la testa Clelia, armeggiando nello zaino e tirando fuori due guanti e un flacone con su scritto Betadine.
«Si saranno estinti in ‘sta maniera, suppongo» commenta Luca, osservando da sopra.
«Un orgasmo vale una vita umana»
«Sto male» ansima il visconte.
«Non è niente di grave, coso, ma ci andranno dei punti» fa Clelia, prendendo delle garze e imbevendole di disinfettante, poi versandoglielo sul petto.
«Non… mi fa male lì»
All’improvviso lei si fa seria, cambia tono di voce, allarga le mani per allontanarci: «Come no? Dove?»
«La pancia» geme lui «mi fa male la pancODDIO» urla, poi con un ruggito mostruoso si caga addosso. Atza, dietro, scappa dietro gli alberi che prima ammirava.
«Tranquilli raga, tutto previsto» dice Ario «gli ho messo tutta la boccetta di Guttalax nell’acqua, l’idea era fare una sfida su chi si cagava addosso prima»
Il romanticismo.
«COOOOSA?!» urla il padrino «AVETE AVVELENATO I CONCORRENTI?!»
«Chiaro, lasciavo uno dei miei amici ammazzarsi? L’idea m’è venuta a casa di Simba. Il duello comunque è valido»
Dal culo del visconte deflagra una possente scarica di diarrea. Clelia nemmeno se ne cura, presa com’è a pulire la ferita.
«Tenetelo fermo» dice.
Valentino, con un’espressione d’incredulo disgusto, si china e blocca le braccia del visconte. Altra scarica.
«Assolutamente no! Questa è un’irregolarità gravissima, il duello va rifatto!»
«E come? Il tuo capoccia s’è cagato addosso, Atza pure, c’è merda dappertutto… oh, a proposito, il medico magico dov’è?»
«L’ho visto andare tra i cespugli» fa Valentino, indicando con la testa.
«Combatteranno i secondi! Signor Tranquilli…»
La mia schiena diventa una scultura di ghiaccio.
Lo sfigoboy è a un metro da me. Afferro da terra la sciabola del visconte, poi scatto indietro. I paggi son gente onorevole, cavalleresca e che sa usare le spade, ma io sono di Mestre periferia. Quando capiscono il mio intento è troppo tardi. Sono già planato in scivolata sulla sciabola di Atza, ho preso anche quella e le tengo ben salde in mano. Tranquilli m’è corso dietro e si ferma.
«Hahaha stronzo, a frocio, e adesso?» dico.
«Dammela»
«Vieni a prenderle, gna ha haha»
«E’ una cosa seria»
«AAAARRRH» urla il visconte.
Altra merda.
Epilogo
Leonora, Giulia e Francesca sono protese sul tavolo a bocca aperta.
«E quindi?» fa Francesca.
«Basta. Ognuno per la sua strada, la lesbopsicopatica è tornata alla sua tesi a Trieste, il visconte ha fatto sapere che non frequenterà più i draghi gialli in quanto disonorevoli, fine» dico, bevendo.
«Ma come fine, e ‘sta Sabrina? Atza?»
«Non so» dico «non li sento da quella sera. A proposito, ma il testimone?»
«Ah, quello, storia pazzesca» gongola Ario «in pratica quando l’ho mollato a casa s’è messo a frignare di nuovo ringraziandomi tantissimo, scambio di numeri di telefono, abbracci. Gli ho chiesto ‘cazzo aveva e lui mi ha raccontato tutto»
«Non so se sono pronto» geme Luca «sembrava una brava persona»
«Sì, sì, ma in pratica lui è un imprenditore o roba simile, no? C’ha il miglior amico pezzente che tipo tre anni fa gli chiede un prestito, somme grosse. Lui cala. Poi l’azienda va in crisi ma galleggia, senonché a ‘sto Valentino nasce la seconda figlia con una malattia imputtanata, cure costose a sbrega. Gli serve cash, lo chiede indietro all’amico ma quello dice di non averlo, poi su Facebook lo sgama che va in vacanza a Kiev a giuocare a chiava la slava. E mi ha spiegato che voleva ucciderlo a coltellate, l’amico sta proprio in via Torino»
Ho la faccia coperta dalle mani.
«Però s’è cacato sotto, è stato lì a pensarci e sono arrivato io, gli ho detto del duello e s’è pensato “ghe sboro, tanto in galera ci vado comunque”. Oh, aveva pure il coltello dietro, eh? Quando ci ha visti fare tutte ‘ste stronzate ha capito che non sarebbe mai stato capace di fare una roba del genere e ha deciso che invece di ammazzarlo proverà a denunciarlo. Mi ha promesso che una di ‘ste sere ci beviamo qualcosa insieme»
Atza è una settimana che non si fa vivo, non risponde al telefono e al comune s’è dato malato. Per vie traverse abbiamo saputo che Sabrina l’ha calata.
Fine