99 mele

mela-rossa
Avevo circa sei anni. Mia madre è sempre stata fissata col Natale, è tipo la sua personale religione: albero rigorosamente vero – aghi dappertutto – addobbi comprati nei mercatini, calendario dell’avvento, presepe e stereo che sparava cover natalizie. Del resto era il 1986, l’Italia del benessere che sognava il Mulino bianco, aveva Jerry Calà come sex symbol, Cortina come mecca e la ceretta come demonio.

Io ero addetto ai Re Magi, tre action figures su dei cammelli che giorno dopo giorno dovevano avvicinarsi al presepe dove il 25 sarebbe stato depositato il piccolo Assange. Siamo tutti un po’ Re Magi, in fondo. Almeno una volta nella vita ci siamo presentati alla festa della strafiga con un regalo del cazzo.

«Tu che le hai regalato?»
«Collanina d’oro»
«Tu?»
«Ho portato il fumo»
«Nebo?»

«Eeeh…»

L’8 dicembre si faceva l’albero e si accendevano le luminarie. Trasformare casa nostra in Las Vegas milluplicava il consumo elettrico del condominio scatenando cali di tensione spaventosi, facendo fiorire i geranei in terrazza e suscitando le invidie dei miei compagni di classe che credevano tenessi la stella cometa in soggiorno. Solo che io sono uno semplice, e tra i tanti addobbi le mie preferite erano delle piccole mele di legno, rosse e lucide. Mi piacevano perché la strega di Biancaneve era tutta contenta di averne una, mentre io ne avevo cento.

Quel Natale notai nel loro scatolone una senza gancio.

Esaminai, diagnosticai guasto e riferii a mio padre. Si strinse nelle spalle: si poteva aggiustare, ma la mia neonata sorella era un’egocentrica che non esitava a cacarsi addosso pur di attirare l’attenzione, così bisognava rimandare. Misi la mela sul mio comodino in attesa di restauro e tornai al lavoro. Come tutti i maschi del mondo tendo ad affezionarmi agli oggetti che mi porto a letto e da bravo bambino educato rincuorai la mela spiegandole che tutto si sarebbe sistemato; presto avrebbe raggiunto le sue amiche. Le diedi un bacio e promisi che l’avrei chiamata io.

Tornando da scuola e trovandola ancora lì decisi di includerla nei giochi pomeridiani. He-Man trovò subito in lei un valido alleato per sconfiggere Skeletor. La mela inizialmente timida si fece coraggio e verso l’ora della merenda era già ben integrata. Che cazzo, c’erano l’uomo erba ed il serpente umano, sarà stata mica lei la più strana. Al terzo giorno tornai a casa e non la trovai. Mio padre mi guardò soddisfatto: l’aveva finalmente riparata. Domandai dove l’aveva messa e lui indicò l’albero.

Un albero di cento mele identiche a lei.

Passai ore cercando di ritrovarla, mettendo da parte alcune candidate. Alcune avevano un’ammaccatura, altre un gancetto malmesso. Poi mi resi conto che se anche ne avessi trovata una simile avrei dovuto convivere con l’incertezza di giocare con un’altra, magari sapendo che quella vera, dall’albero, vedeva. Così decisi a malincuore di rimetterle a posto.

Ecco, sostanzialmente per me l’amore è questo.