14. Quattro arditi incursori

La giornata era iniziata bene. Dieci di mattina, un prato francese con un albero. Ci stiamo sbarbando nel sole d’agosto dopo aver preso il necessario in un minimarket. Il parabrezza come specchio, quattro idioti con le Lucky Strike in bocca che si dilaniano la faccia insaponata con acqua dalle bottiglie ricaricate nei cessi. Sole, insetti e fili d’erba fluttuano nella brezza d’estate accompagnati dai nostri peti mattinieri. Distendersi su un prato a godersi il viso sbarbato quando hai tutta la giornata davanti lo rende ancora più piacevole, chiudo gli occhi mentre il bruciore del dopobarba cicatrizza il massacro sanguinolento che ho al posto delle guance. 

Alle mie spalle, all’ombra dell’albero, li sento stronzeggiare in sottofondo. Cicale. Rare macchine distanti. Estate in tutto il suo spensierato splendore. 

«GUARDA, NEBO, GUARDA!» arrivano, gaudenti. 
«Che cosa ce ne facciamo di un ananas, adorabili idioti?» 
«Abbiamo mangiato l’interno e l’abbiamo riempito di batida» 


Ieri avevam fatto spese, ma ero rimasto fuori a fare la guardia al finestrino bucato. 

«Entrate in supermercato e sputtanate la grana del nonno in superalcolici da sbarbi?» 
«Macché, Atza l’ha rubata mentre Solero pagava» 
«E volete bere il coccoananas drink più gay del mondo alle 10 di mattina? Magari pucciandoci dentro la banana? Porca puttana, non ho mai visto niente di così frocio, avete superato voi stessi» 

«Ma chi vuol berla, l’abbiamo trasformato nel bong definitivo» 





«Avete fatto un chilom con un ananas e l’avete riempito di Batida?» 
«Affermativo, comandante»
«Questa specie di monumento alla droga tropicale verrà caricato di superskank made in Holland, collezione privata» dice Solero, stranamente espressivo, mostrando un cellophan da pacchetto di sigarette contenente la perla del nord. Con le lacrime agli occhi, iniziamo. Venti minuti dopo siamo sbiellati come capre che farnetichiamo in stato confusionale. 

«LLLAH SPHAGNA, FRATELLI» biascico sbavando «CIHOE’ SPSCI POTREBBE SCHOPARE PERSINO SILVIO, IL SILVIO DEL CHAZZO, GNAHA HA HAHAH HA HA» 

«Questa è esagerata» 
«Non è vero, potrebbe farcela benissimo. In Spagna mica è come qui. Là trombare è come… non so, tipo stringersi la mano» 
«Sì ma un idiota resta sempre un idiota. Secondo me il padre l’ha cresciuto male apposta per ridere. Cristo, sta in pronto soccorso perché s’è tranciato la lingua con la carta dello yogurt, voglio dire»
«E’ vero?» chiede Solero. 
«Sì. Leccando la stagnola di una confezione di yogurt Silvio è quasi riuscito ad amputarsi la lingua. La cattolicissima madre racconta l’accaduto ai vicini come una disgrazia che poteva capitare a chiunque e che ora sta tutto nelle mani del Signore, che delega al chirurgo» 

«Santo Dio» 

«Sì, mica è nuovo a questo genere di imprevisti, eh? Dio nella sua immensa bontà tentava in tutti i modi di chiamarlo a sé. A sette anni tutti i bambini giocavano con le spadine di plastica, ma lui transitando in cucina notò che il coltello da macellaio della mamma era grande uguale ma brillava di più, così lo sostituì. Quando la madre scoprì il tragico scambio partì con la rabbia di uno scattista nigeriano e riuscì a fermare il figlio un attimo prima che interpretasse davanti ai suoi amici una scena di seppuku da premio oscar» 

«HA HAHAHA HAHAHA SILVIO HAHAHA HAHA ODDIO L’HO SEMPRE SAPUTO» 

«Aspetta. A dieci anni riceve una mountain bike per il compleanno, ci sei? Stava pedalando sul ponte di via Einaudi quando gli viene un’illuminazione, ovvero che se avesse girato il manubrio in fretta di novanta gradi la velocità l’avrebbe fatto ruotare su sé stesso come una trottola!!!11!!!» 

«Solo che… ASPETTA, solo che il momento più opportuno per farlo gli parve mentre alle sue spalle transitava il 21 per Maerne. L’autista vede Silvio che senza motivo apparente viene catapultato verso l’alto dalla propria bicicletta impattando di faccia in centro carreggiata. Per evitarlo sterza invadendo l’altra corsia, disintegra la staccionata ed invade i giardini, son venuti persino i giornalisti della Tribuna di Treviso a far fotografie, ne avranno parlato per una settimana» 

«HAHHA HAHA HA HAHAHA HAHAHA» 

Ripartiamo verso mezzogiorno. La strada scorre tra campagna ordinata e solitaria, il panorama è sempre uguale. A sinistra osserviamo il mare che si perde, isole che lo spezzettano, gabbiani. Quando Solero urla, Ario sbanda. Per la prima volta il contrabbandiere ha cose da dire. Spiega. Nelle mie orecchie c’era solo la risata indotta dal THC mentre lui ci spiegava divertito un’idea geniale indicando un posto da fighetti rincoglioniti. Haha, sembra divertente. Haha, sì, è possibile. Haha, troppo ganzo, bella, sarebbe davvero da ridere. Quando ritorno lucido è sera e siamo distesi su una duna. Osserviamo ragazzi urlare ed ubriacarsi su un molo davanti ad un campeggio privato. La sola luce proviene da un faro puntato sul cancello che porta all’interno del camping. Gente che entra, gente che esce. 

«Non mi preoccupa entrare, alla peggio ci rimbalzano. Quello che mi preoccupa è uscire» 
«Almeno sei sicuro?» 
«Ho la faccia di uno che non è sicuro?» ringhia Solero «Sappiamo che là dentro c’è il camper. Dove c’è il camper, c’è lo zaino» 
«Solero, DEVI essere sicuro» 
«C’ho messo IO lo zaino, ho visto l’adesivo a trenta centimetri dal naso. Stesso disegno, stesso nome. Magari sono qui e magari no. In tutti i casi è l’unica possibilità che abbiamo» 

«Ricapitoliamo, il piano è infiltrarsi in un campeggio che ha il logo uguale ad un adesivo che hai visto sul camper dei teteschi, passare la notte a cercare se c’è, nel caso rapinarlo e fuggire?» 

«Sì. Siamo ragazzi qualsiasi tra ragazzi qualsiasi, non ci sgamano» 
«Siete fuori di testa» 


E’ inutile discutere. Solero parte. Ario lo segue. Io ed Atza possiamo solo aggregarci. In silenzio, a passo svelto, ci accodiamo ad un gruppo di tizi e tizie sbronzi. Saliamo i gradini di pietra, oltrepassiamo il cancello e lo sguardo del guardiano. C’è un pavimento di mattonelle che scende, scompare dietro una siepe e si trasforma in un viale alberato tra fiori, aiuole e piazzole. Lampioncini e steccati in legno. Piscina. Questo posto è gigantesco. Continuiamo a camminare tra gente che non parla la nostra lingua. Vediamo un TOILETTE ed abbiamo tutti e quattro la stessa idea. C’è un intera costruzione finto caraibica per i bagni, una fila interminabile di rubinetti e specchi, wc e docce. Atza ha in mano un depliant stropicciato che ha raccolto da terra. 

«Gesù» sussurro «quanto grande è ‘sto posto, par Gardaland» 
«150.000 metri quadrati, da quel che capisco di inglese» balbetta, passandomelo. 
Guardo. 

«Quanti posti ha?» domanda Solero. 
Io non ci volevo venire in Spagna. 

«Nebo? Quanti posti ha?» 
«3.700 persone» 
«QUANTE?!» 
«Eh» 
«Calcolando che sono le 23, abbiamo una macchina nascosta nella pineta, siamo intrusi in un camping a quattro stelle sconsiglio di stare qui dentro fino alla mattina dopo. Finché è notte e c’è gente in giro siamo irriconoscibili, appena vanno a letto siamo fottuti»
«Sullo scartafaccio c’è una mappa?» 
«Una specie» 
«Fa vedere» 

Studiamo per qualche minuto. 

«Va bene, è divisa in settori. Noi siamo qui, ai cessi. Ci dividiamo e ci ritroviamo ogni ora per assicurarci di essere vivi, svegli e sapere quando abbiamo trovato i bastardi» 
«E se non li troviamo?» 
«Continuiamo a cercare» dice Solero piantandomi occhi di ghiaccio nell’anima «Nebo, tu vai qui » 
«Perché io?» 
«Perché sei tu che hai avuto l’idea della madonna» 

Me ne vado domandandomi se si riferisse alla dogana o al viaggio. Me ne vado attraverso il buio di una terra sconosciuta, in una notte straniera, senza amici né donne o parenti, armato solo dei miei diciassette anni. In francia un italiano che sta andando in spagna cerca dei tedeschi, mormoro. La luna piena, nel cielo, aspetta la fine della barzelletta.