Arthur Aitken è il figlio del barone Aitken ed è una persona migliore di noi.
Inglese, ricco, si fa sistemare in ambasciata in India e finge di lavorare tra un cocktail party e l’altro. Lui è figlio di un magnate dell’editoria. Quando scoppia la prima guerra mondiale, Aitken vuole essere un eroe come nei romanzi cavallereschi, ma non ha voglia di andare tra fango e spari. Telefona a papi e si fa promuovere generale, poi si sistema a capo di una spedizione militare pro forma. Conquisterà un porto sfigato della Tanzania dove i tedeschi hanno due soldati negri e un paio di catapecchie, poi potrà tornare a casa e guardarti dall’alto in basso. Annuncia quindi ai giornali (del padre) che guiderà un attacco a sorpresa, dopodiché fornisce un dettagliato resoconto logistico di dove, come, quando. Un giornalista fa notare che i tedeschi potrebbero leggere. Viene subito licenziato, perché i plebei non possono permettersi certe impertinenze.
L’equipaggio
I soldati sono indiani raccattati da risaie, vicoli, baracche e convinti a salire a bordo in cambio di un vestito e un piatto di minestra. Il loro addestramento è simile all’ISIS. Questa portentosa forza d’assalto viene stipata dentro navi con la stessa densità di un volo Ryanair classe profugheconomy. Tutti soffrono il mal di mare e si vomitano addosso l’un l’altro. Non possono camminare, lavarsi o fare esercizio fisico. Aitken li nutre a carne di manzo, peccato gli indiani considerino la vacca sacra. Alcuni digiunano, altri la mangiano ma l’intestino non è in grado di metabolizzarla trasformandoli in bombe diarroiche. Gli ufficiali invece sono inglesi, vengono selezionati per titolo nobiliare o convenienza sociale. L’età media è dunque databile solo col Carbonio 14, la loro esperienza sul campo è “nel my castle ho un painting of questo selvaggi’s desert” e sono sordi da non sentire gli spari.
Arrivano a Tanga dopo sei mesi.
“Tra 24 ore vi faremo un attacco a sorpresa”
Oggi Internet è pieno di uomini integerrimi e donne moralissime che si domandano dove sono finiti i Grandi Valori di una volta. Per rispondere a questa domanda basti pensare che nel 1914 bisognava dare un preavviso di una settimana prima di un attacco a sorpresa. Era per educazione. Giunto a destinazione, Aitken invita un rappresentante tedesco a bordo della Costa Protesi per discutere la resa. Sale il commissario Auracher, alza le mani dicendo “ach, zorprezoneee!” e annota con cura armi, mezzi, uomini e morale del nemico. Aitken gli chiede di firmare la resa, lui dice di non essere autorizzato a prendere una decisione tanto grande. Domanda una proroga di 24 ore per consultarsi col suo comandante e Aitken lo lascia andare. Prima di congedarlo domanda se le acque del porto sono minate. È come se per strada un tossico ti fermasse dicendo “scusa, casa tua ha un allarme?”. Auracher dice “sisisisisi minatisssssime” e se ne va, felice di sapere che di sicuro gli inglesi non attaccheranno dal mare.
“Sono degli idioti, truffiamoli”.
Tanga era un porto inutile, pieno di vecchi, vagine e bambini. Le armi a disposizione erano scarse e guaste, gli uomini utili pochissimi e privi di artiglieria pesante. Ma il comandante è Paul Emil von Lettow-Vorbeck, un uomo più del nostro tempo che dell’epoca. Considerato dagli Askari una divinità, quando altri tedeschi fanno discorsi razzisti li cazzia dicendo “siamo in Africa, siamo tutti africani”. Ha una forza fisica notevole, un senso dell’umorismo spietato, due turbine al posto dei coglioni ed è considerato il primo McGyver della Storia. Non pensa neanche per un attimo di arrendersi. Sfolla bambini, figame e vecchi, organizza gli Askari su punti altolocati. Distribuisce le poche armi, razionalizza le munizioni, regala a tutti una bottiglia di birra. E aspetta.
GIORNO 1
Passate le 24 ore Aitken si spazientisce. Fa retromarcia e rovescia un primo reggimento di indiani a Manza bay, oltre un miglio di distanza dalle acque piene di mine immaginarie. Per raggiungere Tanga i venditori di rose dovranno attraversare sabbie mobili, vipere d’acqua, zanzare, ragni, mostri. Scalare una parete di roccia crivellata di crotali, ridiscenderla, saltare un fossato pieno di coccodrilli e atterrare in una pianura piena di leoni famelici, rinoceronti aggressivi e scimmie che scagliano sassi da 10 chili sugli intrusi. Il tutto tirandosi dietro equipaggiamento, viveri e armi a mano, perché le mosche tse tse han ficcato le larve negli animali da soma e se li stanno mangiando vivi dall’interno. È anche la stagione dell’accoppiamento degli elefanti, quindi al primo sparo si rischia che dalla selva esca un mastodonte di tre tonnellate incazzato perché lo disturbi mentre cerca di chiavare.
Sono stupito non ne abbiano fatto un videogioco.
Appena mettono piede a terra, il problema dei diarroindiani si manifesta in tutta la sua semplicità. Non solo spruzzano merda come seppie, ma dopo sei mesi di ‘sto istituto di bellezza emanano un afrore mostruoso tale da far convergere su di loro qualunque insetto presente nell’Africa subsahariana. Alcuni hanno le gambe anchilosate da mesi in mare, non camminano e annegano sul bagnasciuga. Altri sono a digiuno e svengono per la fatica, il caldo, il proprio odore corporeo. Gli Askari li osservano dall’alto, divertiti. Appena i primi entrano nella giungla sparano un colpo. Uno.
È subito strike.
I portantini fuggono verso la spiaggia urlando in preda al panico. I soldati non capiscono cosa gridano, perché nessuno capisce cosa dice manco il compagno di branda. Sono di caste diverse, non si conoscono, non hanno mai combattuto. Nessuno sa dove si trova, cosa deve fare o perché è lì. Però anche un elettore del M5S sa che quando degli adulti scappano urlando dal punto A verso il punto B, andare verso il punto A non è una buona idea. Quindi fuggono in spiaggia anche loro, dove i cecchini tedeschi hanno campo libero e li sterminano come poiane.
A bordo della Costa Protesi, il resoconto del sergente viene ascoltato dal baronetto con impassibilità: «Bene, sono dettagli di cui si occuperanno gli ufficiali, sergente. Io vado a leggermi un libro» dice Aitken, abbandonando la stanza.
«Quali sono gli ordini, signori?» domanda il sergente.
«Sellate subito i cavalli, voglio vedere la Borgogna» dice il maggiore, alzandosi e scoprendo di essere uscito senza braghe.
«AVANTI, AVANTI! DIO SAPRA’ RICONOSCERE BRACCOBALDO BAU» urla il colonnello, poi conficca la testa nell’oblò e sviene.
«Fate avanzare gli arcieri» decreta il capitano, infilando con decisione l’indice nella zuppa bollente.
«Chi osa pisciarmi sui pantaloni?!» sbotta il tenente colonnello, mentre una pozza di urina gli si forma sotto i piedi.
GIORNO 2
Tutti gli 8,000 uomini vengono fatti sbarcare. La vista e l’odore spaventano gli Askari che si ritirano. Sulla spiaggia gli ufficiali organizzano i portatori di Polaroid in battaglioni e riescono a farli avanzare nella giungla fino a impattare con la prima linea di difesa tedesca. Gli indiani non hanno idea di chi sia il nemico. Non sanno nemmeno dov’è, la Germania. Sparano contro chi gli spara e fuggono. Gli ufficiali allora sparano sui fuggitivi, il che, agli occhi di una mente bestiale, trasforma anche loro in nemico. Se mi spari sei cattivo, no? Dopo neanche un’ora la giungla è un posto dove un indiano spara a un africano e viene ucciso da un inglese che viene sbranato da un leone che fugge dagli spari di un tedesco che mirava a una scimmia che tirava pietre a un coccodrillo che scappava da un elefante che voleva scopare.
A bordo della Costa Protesi, Aitken decide di non scaricare i cannoni perché tanto non gli servono. Preferisce usare quelli della nave. Quando dicono che da lì non si vede una madonna e tirerebbero alla cieca, lui dice di provare lo stesso. Il primo colpo emula Baggio ai rigori del ’90 e si perde nella stratosfera. Il secondo disintegra l’ospedale assieme a feriti, medici, infermieri, anziani, parenti, bambini. Il terzo piove in mezzo alla giungla triturando inglesi, indiani, negri, tedeschi, leoni. Da Costa Protesi sentono urla, credono di averci preso e insistono su quel punto.
Nella giungla, l’unico tenente inglese sotto la quarantina urla all’ufficiale Malleson addetto alle comunicazioni di riferire alla nave l’errore.
«Si rivolga a me con più rispetto, tenente» dice l’anziano «deve chiamarmi signor colonnello e conte Malleson di Oxfordshire.»
«PRENDA LA RADIO E DICA ALLA NAVE DI NON SPARARE!»
«Non l’ho portata» dice il signor conte, guardando altrove «la radio è una moda da giovani, non ha futuro. Il baronetto è d’accordo con me.»
«SI MA LA USI E DICA C …eh?»
«Non abbiamo radio. Ne vado fiero, è roba da plebei. E poi il nemico avrebbe potuto intercettarla.»
Nel cielo c’è un fischio, poi la cannonata esplode tra gli alberi in una fontana di schegge d’acciaio e legno falcidiando indiani ormai in preda al panico.
«E come pensa di comunicare con la nave, signore?»
«Segnali luminosi.»
Il tenente tiene gli occhi in quelli del conte: «Segnali luminosi» ripete.
«Sì, con gli specchietti. Riflettono il sole.»
La seconda cannonata stermina in un colpo tutto il 125° battaglione.
«Il sole.»
«TENENTE, GIOCHIAMO AL PAPPAGALLO?»
«Signore, piove da tre giorni.»
«Ah, ecco cos’era ‘sta umidità.»
«Sì. Siamo a novembre, Africa tropicale, stagione delle piogge. Piove.»
«Bravo, bravo.»
«Grazie. Dunque» fa il tenente «come interrompiamo l’autodistruzione, signor colonnello e conte Malleson di Oxfordshire?»
«Polvere di luce tra le stelle col suo spirito ribelle sta arrivando Vultus 5» dice l’anziano ufficiale, poi galoppa nella foresta.
Decidono di mandare delle staffette su e giù dalla spiaggia, purtroppo fanno un’enorme fatica a trovare indiani capaci di comprendere il messaggio da riferire. Ne trovano una decina che non appena ricevono l’ordine di correre verso il campo base si perdono nella giungla, muoiono divorati dagli animali o fuggono verso la salvezza delle sabbie mobili. Il secondo giorno si conclude con un niente di fatto, 200 dispersi e un battaglione disintegrato. A bordo, gli ufficiali più giovani si riuniscono e tirano una moneta per decidere chi ucciderà Aitken.
GIORNO 3
Il mattino Aitken fa distribuire una colazione abbondante a tutti gli ufficiali e fa digiunare gli indiani. Terminata la colazione annuncia che metterà piede a terra per dare una lezione “con lo stivale e la pistola” alla truppa inconcludente. Inizia benissimo prendendo a calci in culo quelli che stanno pregando, spara nelle gambe a quelli che gli sembra stiano scappando e, secondo un aneddoto molto controverso, spara in testa a un indiano perché aveva una spada in mano e lo guardava. Poi nel suo diario racconta di essere stato al centro della battaglia e di aver affrontato ufficiali crucchi in duelli molto cavallereschi riassumibili con questa gif.
Gli Askari cedono. Gli indiani dopo due giorni di calci in culo si esaltano e gli corrono dietro come scimmie assetate di sangue arrivando in una piantagione. Qui c’è uno scontro a fuoco che distrugge un intero allevamento di alveari dentro cui dormivano milioni di api africane già nervose per spari e cannonate. È il massacro. Una nuvola nera di orrore e pungiglioni copre il sole, poi le api crivellano ogni essere vivente scatenando un fuggi fuggi generale. Si salvano quelli che le api odiano di più, perché a quanto pare insistevano a pungerli nonostante fossero svenuti, cosa che li risvegliava e gli permetteva di fuggire nella bocca di qualche leone, o incontro al machete di un Askaro. All’ora di pranzo l’intero esercito inglese è una distesa di ospedalizzati incapacitati a combattere. Hanno la faccia così gonfia da non riuscire ad aprire gli occhi o la bocca.
Aitken è costretto ad arrendersi. Ha il permesso di raccogliere i feriti, li carica a bordo e torna in India, dove cerca di scaricare la colpa su chiunque tranne che sé stesso. Stranamente gli ufficiali non lo coprono.
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Tanga passerà alla Storia come il più grande fallimento nella Storia dell’esercito inglese di tutti i tempi. La battaglia delle api verrà tramandata dai cori gospel in maniera sempre più romanzata, tanto da dire che le api furono tutta una trappola di quel gigante di Lettow. Non è vero. Lui stesso dichiarerà
“i may now perhaps betray the fact that at the decisive moment all the machine guns of one of our companies were pit out of action by these same trained bees, so that we suffered from this new training quite as much as the english” The Meinertzhagen mistery, pg.98
In Internet le fonti sono poche e, per la maggior parte, sbagliate. Per il post mi sono basato sulla tesi di laurea del dottorando F. Jon Nesselhuf, dell’università del Texas, 2012. Ho consultato il libro The Meinertzhagen mistery, 2009, di Bria Garfield, il rapporto ufficiale della Commonwealth Grave Commission, 2014, La prima Guerra Mondiale, Hew Strachan, 2010 e Storia dell’Inghilterra, di Kenneth O. Morgan, 2015.
Poi l’ho buttata in vacca perché era più divertente.