Oh marinaio, mio marinaio



Sera, vaporetto, canal Grande. Pochi a bordo, mi godo la brezza della sera mentre scorrono palazzi, luci, ristoranti, bettole, chioschi ed alberghi. Guardo il Carinthia VII e il Vibrant curiosity. A me macchine e motociclette non fanno il minimo effetto, ma per fare un’orgia a bordo di quelle meraviglie io sgozzerei trenta bambini, altro che trasferire le fabbriche in Serbia. 

Poi sorrido scuotendo la testa: ragiono come un membro dell’Italia dei valori. 


Cinque minuti dopo sto sognando ad occhi aperti la mia nave pirata carica di rum e lesbiche in tanga quando a bordo montano due punkabbestia. L’afrore mi riporta alla realtà. Lei ha l’età indefinibile che hanno i cadaveri all’obitorio, ha denti verdastri e capelli azzurri a macchie. Occhio cisposo, occhiaie, piercing. Innumerevoli buchi tra faccia e orecchie per catturare il più infezioni possibile completano un culo enorme e bianchiccio. In una mano tiene la lattina di birra, nell’altra la sigaretta. Pare la statua della libertà delle baraccopoli indiane. Arranca a bordo seguita dal compagno, tale Luigi. Magrolino, occhialuto, ora ha un alveare di pidocchi in testa ma al tempo era un rispettato spacciatore del liceo Giordano Bruno. Non credo mi riconosca. Anche lui ha le mani occupate dal maggior numero di simboli fallici possibile, tra cui stona un guinzaglio a cui è attaccato il protagonista della serata, un bastardo grosso due volte lui che risponde al nome di 

– SCIALLAAAA! CHE CAZZO TIRI, OOH? OOOOH! – 

Scialla è un cane bellissimo. In forma, attivo, curioso, palesemente scazzato dal doversi tirare dietro questi due rottami, scodinzola girando su sé stesso ed annusando in giro mentre il vaporetto riparte. Il marinaio è un ragazzo sui venti, sospira e si dirige verso i due. 

– Biglietto.
– Che cazzo… SCIALLAAAH! NON TIRARE, PORCODDIO! OOOH!
– Scendiamo alla prossima – risponde la donna. 
– Ho capito, il biglietto dovete farlo lo stesso.
– Vabbè, per una fermata…
– Fioi, se prendete il vaporetto dovete pagare come tutti.
– Tanto adesso scendiamo.

Pausa. 

– E non si fuma – dice il marinaio, indicando. 
– Oh ma che t’abbiamo fatto, porcoddio, t’ho detto…
– Non m’avete fatto niente, ma se c’è scritto che non si fuma e si paga il biglietto voi dovete farlo come tutte le persone normali.
– DI’ CHE TI STIAMO SUI COGLIONI, DAI, DILLO!
– NO, ADESSO PAGATE LA MULTA! – urla un vecchio, dal fondo. 
– TE FATTI I CAZZI TUOI!

In meno di un minuto il vaporetto è un carnevale di “fascista”, “sono della lega”, “adesso chiamo il 112” e tutte le anime a bordo sentono l’irrefrenabile bisogno di dire la loro. Arrivano, non sanno nulla, non hanno sentito nulla, guardano la scena e sparano “ha ragione il signore”. In un crescendo di pregiudizi, odio, frustrazione, caldo, vecchiaia e rancore verso la vita il vaporetto si avvicina alla prossima fermata. Poi lo vedo. Mi fissa. Siamo gli unici due zitti. Mi guarda con gli occhi più intelligenti che abbia mai visto in un animale. Pare capisca tutto. E’ seduto, composto. Il guinzaglio penzola abbandonato, perché nelle situazioni di crisi un punkabbestia non deve abbandonare il ciuccio, sia alcool o tabacco. Se non ciuccia qualcosa perde ogni credibilità. Scialla lo sa. Pare una statua, una scena da film. Non ha nemmeno la lingua di fuori. Il marinaio lancia la corda, lega, leva la barra di sicurezza. E’ in quel momento che Scialla si lancia nel buco tra il vaporetto e l’imbarcadero. 


– IL CANE! – urlo, troppo distante. Luigi si lancia sul guinzaglio. Tira con una mano, pesa troppo. Molla la birra e tira con entrambe. Pesa ancora troppo. La donna dietro urla “tiralo su, tiralo su”. Dal basso parte un “uhày”. Il marinaio afferra la mano del punkabbestia ed estrae Scialla mezzo istante prima che diventi un monotono 33 giri. THUM. 

Silenzio a bordo. La birra cola sul pavimento. 

– Oh, grazie, oh – dice Luigi con un filo di voce. 
– Dai, scendere – dice il marinaio. 

I due scendono, il motore riparte, la barra si chiude. Li guardo andarsene quando dal cielo, con una parabola perfetta, la lattina di birra dimenticata centra la testa di Luigi. Si tiene la testa. Mi volto a guardare il lanciatore, è il marinaio. Si sporge e sbraita in veneziano “Se là dentro c’eri tu ti lasciavo morire, testa di cazzo”. 

Onore alla marina veneziana.