Lost è stato il Twin peaks della mia generazione.
Quando negli USA usciva la puntata del lunedì, il martedì pomeriggio si trovava già rippata coi sottotitoli. Iniziava così la ricerca di qualcuno con la casa libera e un televisore in grado di riprodurre il prezioso bottino. Era il 2004, avevamo vent’anni. O stavamo a casa dei genitori con TV antidiluviane, o eravamo universitari dotati di un portatile scassato.
Arrivò a salvarci un certo Piccillo, un biondino basso e tarchiato con un grosso Rolex daytona che gli penzolava dal polso.
Stava in un appartamento in centro Mestre con madre, padre, fratelli – tutti pescatori – e due pastori tedeschi. Era un open space, ultima moda architettonica che prevedeva la cucina in salotto. Quando si cucinava pesce, quindi, l’aria sapeva di orata e pelo di cane per settimane. Nel salotto minimal, però, tra i miasmi e il fumo di sigarette, troneggiava un megaschermo grande come una scrivania e un impianto surround professionale.
L’effetto sonoro basso del fine capitolo (THUMMMM) penso lo rilevassero i sismografi di Gorizia.
Grazie a quel prodigioso home cinema, il salotto di Piccillo era diventato un luogo di ritrovo. Sconosciuti di ogni età portavano qualcosa da bere o da mangiare, si sistemavano dove capitava e aspettavano la puntata iniziasse. C’erano ragazzini in camicia, adulti in felpa, donne in tacchi, universitarie dell’appartamento di fianco in pigiama.
La puntata veniva vista tra grida di frustrazione, insulti, richieste di silenzio, sigarette per coprire i miasmi di pesce e cani, applausi. Quando si accendevano le luci, alcuni restavano per il dibattito. Ipotesi, teorie, personaggi, dettagli da annotare. Chi era davvero la Dharma initiative? Chi erano the others? C’era da fidarsi di Ben? Cosa significavano i numeri? Quei dibattiti erano la parte migliore delle mie serate. Non ne perdevo uno. Era come far parte di una tribù che la sera si riunisce attorno al fuoco a discutere di storie epiche.
Perché non farlo anche con i libri?
Dopotutto i romanzi d’appendice (feuilleton, li chiamano nei salotti letterari) hanno avuto padri nobili. Dumas, Balzac, Collodi, Salgari. Dopo la seconda guerra mondiale sono caduti in disuso. È stato Paolo Villaggio uno dei pochi a proseguirne la tradizione, scrivendo “Le domeniche di Fantozzi” sul Corriere della sera, poi diventati romanzo. Oggi Amazon permette di far arrivare un libro a casa del lettore in 72 ore: perché non sfruttare questa cosa e creare un feuilleton attaccato all’attualità?
Sarebbe bello il lettore potesse avere la sensazione che i protagonisti siano lì fuori, vedano gli stessi telegiornali, seguano le stesse polemiche. Dargli l’idea che potrebbero essere nel suo supermercato a lamentarsi degli stessi prezzi.
L’idea di Ario mi girava in testa da un po’. Mi chiedevo: cosa succederebbe se l’eroe protagonista di una storia morisse all’improvviso, senza epica, per caso? La spalla comica e i coprotagonisti dovrebbero arrangiarsi come possono con quello che hanno. Niente spada di fuoco, predestinati, eredi al trono, incursori spaccaculi super organizzati, conoscenze altolocate. Toccherebbe usare gli ultimi. Un saldatore pregiudicato, una militare traumatizzata, un giornalista fallito. Persone qualsiasi sole, isolate, squattrinate, con sogni piccoli e vite piccole, che arrabattandosi tra un fallimento e l’altro riescono a fare la cosa giusta.
I personaggi
Per il personaggio di Ario ho scelto Steven Ogg, per quando interpreta Trevor di GTA V. Somiglia molto all’Ario vero. Brutto, sporco, peloso e drogato, che galoppa verso l’autodistruzione propria e di chi lo circonda.
Ma che quando ti guarda davvero, ha la capacità di vederti bene.
Per Pamela.
Io detesto le fotomodelle Marvel coi braccini, le tettone e la capacità di far volare terroristi ceceni di duecento chili con un gesto. Bella Scarlett, bella Brie Larson, ma io volevo una trapanese figlia di un mafiosetto, con il corpo deformato dalla propria ossessione e gli occhi di chi ha fatto e visto troppo. Doveva essere verosimilmente capace di tenere in mano un ARX, picchiarsi con Ario, shakerare Alessia e resistere in un corpo a corpo. Una ragazza che di occhi e fisico stonasse in mezzo alle modelle di Walter, così sinuose e delicate. Doveva trasmettere pericolo e funzionalità.
Ho trovato Sara Saffari.
Per Walter Lazzari volevo una bellezza americana da serie TV per adolescenti. Uno di quelli per cui anche una come Pamela darebbe di matto. Alla fine ho scelto Harry Styles. È uno di quelli che potrebbe confessare le cose più truculente, avrebbe comunque stuoli di donne adoranti disposte a perdonarlo. Quel tipo di bravo ragazzo da cui il pubblico femminile si aspetta le cose più truci.
Lo yacht dei Lazzari è il Carinthia VII. Fateci un giro dentro, lo stile old money vagamente ’90 mi è piaciuto tantissimo e l’ho usato per costruire il personaggio di Alessia, la storia di Sabrina e della famiglia Lazzari.
Il collegio ad Astorzio di Boion è villa Beltramini, un tempo collegio Filippin, ad Asolo.
Ci sarebbe anche la playlist, se proprio volessimo andare full Wattpad. Ma preferisco tenere solo l’ultima che spunta fuori con le musicassette. Sommando tutte queste cose, giocandoci, sovrapponendole, girando per Roma e per l’Italia, è nato il mio primo romanzo d’appendice. È lungi dall’essere perfetto, lo so, ma credo molto nel motto di Enzo Ferrari, quando il giornalista gli chiese qual era la sua auto migliore e lui rispose “la prossima”.
Perché siamo qui per restare, gringos. Amazon permette cose che l’editoria italiana nemmeno si sogna, e ho appena iniziato a testarne le capacità.
A metà dicembre uscirà la raccolta brossurata e FORSE rigida
Ario sono circa 1.140.000 battute, ossia un po’ più di 700 pagine. Amazon, in materia di stampa, ha limiti di pagine e costi ben precisi, nessun servizio assistenza e istruzioni scritte da scimmie analfabete. Sarà dura, ma vediamo. Siccome non pianifico di diventare ricco, dovrei riuscire a tenere i prezzi nello standard librerie.
Vi lascio con Pamela che mangia un panino dopo un sacco di tempo (da qui mi son costruito la scena di Sabrina Salerno).