L’appartamento di Ario consisteva in 52 metri quadri in una laterale di via dell’Elettricità, dove di giorno l’aria era pregna di esalazioni chimiche vagamente simili al ragù, e di notte profumava delle salsicce dei kebbabari che sfamavano puttanieri sfiancati.
Era un quartiere cosmopolita.
Al mattino potevi vedere tossici italiani, al pomeriggio rapinatori marocchini, la sera ubriachi moldavi, la notte prostitute ghanesi e la domenica massaggiatrici cinesi. Non era sempre stato così: Marghera era stato un sogno di benessere e lavoro, poi gli architetti avevano scoperto che i quartieri residenziali tra le fabbriche di fosgene non vanno a ruba. Ogni volta che suonavano le sirene, la gente accendeva la televisione per capire se era l’ora della pausa pranzo o della morte per asfissia.
La proprietaria precedente era stata la nonna della fidanzata.
L’anziana era recentemente trapassata per il male che affligge gli anziani di porto Marghera, ossia la rapina a mano armata. Era stata puntata da un giovane imprenditore armato di coltello da caccia, lei per sottrarsi dal suo dinamismo si era gettata in mezzo alla strada ed era stata arrotata da un furgone di operai ucraini, in fuga dal cantiere dov’era appena morto uno di loro. I giornalisti non avevano neppure tentato d’imbastire lo scandalo criminalità; nelle redazioni di Mestre Venezia si poteva parlare soltanto di baby gang, giacché i criminali più alti erano buoni amici dei direttori.
La fidanzata, entrata in possesso della magione, aveva subito dichiarato di volerla arredare in stile shabby chic. Consisteva nel prendere mobilio antico, verniciarlo di bianco e buttarci in mezzo cuoricini e ricamini a tinte pastello. Dopo spese folli, debiti e tentativi falliti, il risultato era un abominio panna in cui l’occhio faticava a distinguere mobili e spigoli, e le scritte motivazionali “home sweet home”, “love”, “la belle jardinière” creavano un bel contrasto con le spaventose bestemmie che scaturivano da mignoli fratturati, rotule polverizzate e zigomi distrutti.
L’incidente accadde un venerdì sera. Ario era tornato stanco morto dalla fabbrica, si era seduto sul divano rosa per drogarsi, quando il gatto era saltato sullo schienale facendgli crollare sul cranio una simpatica natura morta composta da spartiti, rami secchi finti e uova di quaglia finte in cornice “Rosier de France Paris”.
Ario aveva quindi espresso obiezioni sull’operato di nostro Signore, poi aveva scagliato il suppellettile verso la finestra aperta. Ruotando come un freesbee, il rosier de France era precipitato nel lunotto di una Fiat Punto da cui era uscita una punkabbestia dagli occhi iniettati di sangue. Il nugulo di blasfemie urlate a voce roca l’aveva costretto ad alzarsi dal divano e andare alla finestra.
«Allora, cos’è ‘sto casino? Qui c’è gente che vuole drogarsi» aveva tuonato.
«L’hai buttata tu questa roba?!»
«No, no, l’ho vista passare dalla finestra anch’io» aveva sbuffato «È da un po’ che gira.»
«Che cazzo dici?! Vuoi che chiamo gli sbirri e vediamo?»
Una finestra si era spalancata di colpo, e un uomo sulla quarantina era intervenuto: «Che cazzo avete da urlare?!»
«Ma niente, le solite manifestazioni femministe» aveva minimizzato Ario stingendo le spalle.
«Avete rotto i coglioni, siete tutte puttane!» le aveva urlato l’uomo, e lei era esplosa in un boato d’improperi e minacce mentre Ario, annuendo gravemente, aveva chiuso la finestra.
La rissa era degenerata in rispettive telefonate alla polizia, che era arrivata giusto mentre la donna aveva lanciato il Rosier de France addosso all’uomo sceso in strada in canotta, braghe della tuta e cattive intenzioni. Il finale era stato impietoso; lui aveva violato gli arresti domiciliari, lei aveva in macchina due grammi di cocaina e siringhe “per il cane che ha il diabete” ed erano finiti in commissariato tra urla e querele. Erano solo i primi della lunga lista di nemici che Ario si stava facendo in quartiere.
«Il cammino dell’uomo timorato di Dio è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi» sospirava, sorseggiando il mojito e chiedendo sigarette.