Il cono di luce illumina un parquet vecchio e polveroso. Appare un ragazzo alla fine dei vent’anni, biondo, fisico burroso, camicia beige, pantaloni color noce, mani in tasca.
«Ho sempre voluto essere qualcuno» dice «Ma sono una persona irrilevante.»
Si guarda attorno in cerca di qualcosa.
Rinuncia.
«C’è chi non si accorge di esserlo. Vivono bene, quelli. Come le aragoste nelle vasche dei ristoranti. Che ne sanno di non contare niente? Gli basta gridare insulti al televisore, per essere felici. Io no. Io ho la maledizione di capire» sibila, poi si ricompone, mette le mani in tasca.
«Così ho preso il porto d’armi.
Andavo a sparare al poligono, sì. Il botto, il rinculo, il bersaglio che si spacca, è roba… ti fa sentire potente. Però le sagome di cartone stancano, sapete. Stan lì. Non si muovono. Non gridano, non sanguinano. Non scappano. Allora sono andato a fare Softair. Eravamo io, guardie giurate, qualche obiettore di coscienza. Tutti appassionati ed esperti di armi. All’inizio era bello. Però… però anche se eravamo vestiti giusti, usavamo i termini giusti e-e… e facevamo tutto giusto… sotto c’era quella sensazione. Quella voce che sibilava uu non conti niente» sussurra «tu non conti niente.»
L’eco si perde nel silenzio.
«Allora provo a renderla più credibile!» esclama «compro le uniformi! Pago trecentottanta euro per gli anfibi originali del Col Moschin, nemmeno vi dico il giubbotto… E l’orologio! Lo zaino! La borraccia! La cintura! Il cappello il coltello gli occhiali il binocolo…»
Scuote la testa. La abbassa.
Si rigira in bocca la lingua.
«Con la mia ragazza facevo… giochi di ruolo, nel bosco. Tipo il nazista, l’ebrea… ci siamo capiti» ammicca. Si fa serio: «Era per gioco, eh?! Non sono di destra. Anzi.»
«Mi eccitava e basta.»
«Il punto è che non serviva. Continuavo a sentirmi irrilevante. Allora ECCO!» dice, premendosi l’indice sulla fronte «ECCO l’idea! Mi serviva UN NEMICO!» sibila isterico, sgranando gli occhi «quando hai un nemico non sei più uno stronzo qualsiasi, no? Sei il nemico di quello! Hai un ruolo! Uno scopo! Sei un antagonista!» fa un passo avanti, il viso eccitato come un bambino: «CAPITE?!»
Il buio non ha niente da dire.
Torna indietro, deluso.
«Ma non si può scegliere un nemico a caso. No, se scegli uno che magari ha le sue ragioni rischi che vince lui. No. No, poi non c’è epica, uno stronzo qualsiasi contro uno stronzo qualsiasi… a me serviva una CAUSA» dice, alzando la testa e le mani verso la luce. Nell’aria risuona Globus – Preliator.
Alle percussioni, il ragazzo torna a guardare davanti a sé.
«Una causa è qualcosa che ingrandisce chi si prostra. Più giusta è la causa, più grande è l’ombra che proietti quando ti inginocchi. Consegna la tua vita a una causa e non dovrai più preoccuparti di essere qualcuno. Essere irrilevante per una causa va bene! Non devi essere niente! Non devi inventare parlare pensare riflettere ascoltare, no, basta LA CAUSA! IO SONO LA CAUSA! LA CAUSA HA SCELTO ME E IO HO SCELTO LEI!»
La musica sfuma.
«Ma bisogna sceglierla bene» ansima con un sogghigno sibillino «e sapete come si fa? Non è facile. NON-È-FACILE. Una squadra di calcio o un partito possono perdere, e tu perderesti con loro. Come fai a essere sicuro di vincere?»
«Volete saperlo, mh?» gongola, mordicchiandosi le labbra.
«Bene, ve lo dirò: il segreto è prendere un nemico già sconfitto.»
Annuisce, alza le mani cercando di calmare il coro di voci che sente nella testa, improvvisa qualche passo di danza: «Lo so, lo so… grazie! Grazie, siete un pubblico fantastico, grazie!» concede, facendo un inchino «hahaha, grazie! No, è troppo! È troppo! Grazie, basta! Basta.»
Tace. Guarda verso la platea.
«Così ho cercato qualcuno che credeva in un’idea sbagliata. Ma doveva esserlo platealmente, o non avrebbe funzionato. Dovevo prendere i razzisti, gli omofobi, i cattolici, i vegani, gli sciachimisti. Capite? Capite IL GENIO? Va’ da gruppo di gente che crede la Terra sia piatta, gridagli che è rotonda e BAM! Loro sbroccano e il popolo ti acclama! Che grande momento, è stato» sospira, guardando in alto «gli amici, i vicini, tutti mi consideravano un VIP. Oh, le donne impazzivano, si facevano le foto agli eventi con me, mio fratello parlava solo di me, me, me… i miei mi guardavano con orgoglio. Ero qualcuno, capite? Avevo vinto! VINTO! ERO UN EROE! SONO UN EROE DELLA VERITA’! VENITE A VEDERMI! FATEVI UNA FOTO CON ME, PERCHÈ LA TERRA È ROTONDA E NOI LO SAPPIAMO! IO, L’HO OSATO DIRE! CHIEDETEMI… chiedete…»
«Poi…» geme, abbassando la testa e le spalle «è finito tutto. Ho provato… Dio, se ho provato… a tenere viva quell’emozione. Andavo alle manifestazioni. Vivevo nei social cercando i commenti e le immagini che mi permettevano di sembrare brillante, facevo l’occhiolino ai VIP, ma… ma era come grattare un vetro» dice, mimando mani ad artiglio davanti a sé «e scivolavo, scivolavo, scivolavo… pian piano svaniva. Crollava, così. Un pezzo dopo l’altro. Meno like, meno condivisioni, meno foto, dovevo inventarmi qualcos’altro! Ma cosa? COSA?! PERCHE’ DEVO FARE QUALCOS’ALTRO?! HO GIA’ DETTO CHE LA TERRA È ROTONDA, NO?! SONO QUELLO CHE LO DICE! SONO IL SIMBOLO DELLA VERITA’! DATEMI QUALCUNO CHE DICA CHE LA TERRA È PIATTA! DATEMI QUALCUNO CHE
…che mi faccia essere qualcuno.»
Partono gli archi di Mad about you degli Hooverphonic.
La luce del riflettore si affievolisce.
«Ho sempre voluto, essere qualcuno» sorride.
Parte la batteria.
Buio.