
Stretto di Tsushima, mar Giallo
28 maggio 1905, ore 5.58
Le colonne d’acqua si sollevano dal mare e precipitano sul ponte della corazzata giapponese, con i marinai che si tengono ai supporti e gridano per far sentire gli ordini. L’aria è satura di fumo, detriti e urla dei feriti. I boati dei cannoni fanno tremare l’intero scafo delle corazzate.
In plancia di comando, l’ammiraglio Togo si rialza dal pavimento: «Cosa vedete, tenente?» grida al giovane tenente di vascello Yamakazi.
In plancia ci sono carte nautiche, fumo, puzzo di cavi bruciati e feriti. Attorno, tra la nebbia e il fumo nero, il mar Giallo pullula di corazzate in fiamme. Una salva di cannoni passa ronzando a una ventina di metri da loro. Yamakazi cerca di mantenere il contegno, si porta il binocolo al viso: «Vedo camaleonti, signore» dice.
Tutto si ferma.
Lo sguardo va incontro alla corazzata Kniaz Suvarov, fiore all’occhiello della marina militare russa. All’interno, l’ammiraglio Zinovy Petrovich Rozhestvensky ha la bocca spalancata e il pugno in alto, diretto verso la faccia del nostromo. Sulla sua spalla, un enorme pappagallo rosso ha le ali e il becco aperti.
Ci sono piume ferme a mezz’aria.
La plancia di comando è un misto di vetri rotti, macerie, sangue e cadaveri. Attorno alla corazzata, decine di relitti stanno esplodendo e affondando.
Fuori, sopracoperta, migliaia di pezzi di carbone, camaleonti e capre sono sospesi a mezz’aria. Marinai russi sono cristallizzati nel tempo mentre saltano fuori bordo, uno con una pipa d’oppio in mano, un altro con una bottiglia di cognac francese.
Lo sguardo rientra da un oblò della corazzata fino al locale munizioni, dove un leone con la coda gonfia di paura ha le fauci aperte e gli artigli protesi verso i cannonieri. Uno gli sta lanciando una lattina di manzo in scatola con l’etichetta tedesca, l’altro cerca di scacciarlo con un giornale arrotolato in inglese, su cui si intravede il titolo flotta di idioti e prostitute adolescenti cinesi.
Siamo di nuovo sull’ammiraglia giapponese e il tempo riprende a scorrere:
«Guardiamarina, cos’hai detto che vedi?!» incalza l’ammiraglio.
Il guardiamarina si volta con la bocca spalancata. Il tempo si ferma di nuovo.
Passa attraverso il binocolo e raggiunge la corazzata russa Olyabjia, entra dall’oblò fino alla sala macchine. Ancora migliaia e migliaia di pezzi di carbone, braci e fumo, un marinaio distrutto dall’oppio cerca di liberarsi di un coccodrillo che sta attaccato al polpaccio.
Lo sguardo sale le scale della nave tra cadaveri, tossicodipendenti, contadini castrati, alcolizzati, scimmie impazzite di paura, camaleonti. Esce dall’oblò e ritorna nei binocoli del guardiamarina Yamazaki.
«Camaleonti, ammiraglio» balbetta.
Una cannonata russa solleva una colonna d’acqua che s’infrange sulla fiancata, senza che nessuno in plancia si scomodi o ci badi: «Cos’ha detto?» fa Togo.
«Camaleonti, signore» fa il marinaio «A migliaia.»
È una storia vera?
Sì.
Inizia nel 1904 dall’altra parte del mondo, dura ben 130 pagine e la potete leggere cliccando sull’immagine qui sotto.