La storia delle mance è semplicissima. Nel medioevo, in Europa, c’era l’abitudine di dare piccole gratifiche ai servitori o ai cocchieri. Dimostrava di essere molto benestanti: hai talmente tanti soldi che li regali.
La cosa va avanti per secoli, sempre uguale. I ricchi sono sempre in competizione tra loro. Bramano quello che gli altri non possono avere. L’esclusività, non gli status symbol.
Nel XIX secolo i ricchi americani viaggiano in Europa. Vedono i ricchi europei distribuire mance e impazziscono per la figaggine del gesto. Tornano negli USA e lo fanno pure loro. Gli altri ricchi si affrettano a copiarlo. Se lo fanno i ricchi, allora lo fanno anche quelli che vogliono sembrare ricchi. E se lo fanno loro, allora lo fanno anche i poveri per non sembrare poveri.
In breve lo fanno tutti.
“Hey, ma questa è la storia dei marchi di moda!”, grida Giada, studentessa diciottenne incatenata nel mio garage.
Sì, Giada.
Ma è un altro discorso.
Come la mia capacità di mettere i bavagli, del resto.
Torno subito.
Ecco.
Dicevo.
In pochissimo tempo, negli Stati uniti il tipping diventa la norma. Camerieri, facchini, cocchieri, barman. Tutti ricevono la mancia e sono contenti, finché nel 1865 la schiavitù viene abolita.
Gli ex schiavi sono liberi. Per campare trovano lavoro nei ristoranti, nelle ferrovie e negli alberghi. Solo che ai bianchi americani non piace l’idea di pagare dei negri che fino a ieri lavoravano gratis.
Così s’inventano la truffa delle mance.
Consiste nel pagare i dipendenti (leggasi: schiavi 2.0) una cifra simbolica e scaricare l’onere del vero stipendio sui clienti. In questo modo il padrone ha la scusa perfetta: io do agli schiavi la possibilità di lavorare per me. Sta a loro meritarsi i soldi dei clienti. Se non glie li danno, evidentemente non se li sono meritati.
“Ehi, ma questa sembra la menata della meritocrazia che farneticavano vent’anni fa quelli di Confindustria!”
Sì, Giada.
“Aspetta! È anche il mito degli yuppies anni ’80 in cui il duro lavoro paga e poi se vai a vedere i cognomi sono gli stessi dal dopoguerra!”
Sì, Giada, brava. È sempre lo stesso:
Marketing per coonestare sfruttamento e schiavismo.
Adesso però zitta e riposati, che stasera vengono degli amici.
Quando gli americani nel 1938 sono costretti a introdurre il salario minimo, inseriscono un’eccezione: i lavoratori che ricevono una mancia possono essere pagati meno.
Cioè gli schiavi tornano a essere schiavi, ma se non vogliono esserlo basta che lavorino di più. E con meno pretese. E con più impegno. E con più pazienza. Se fossero veramente bravi, i clienti gli darebbero mance migliori.
Giusto, Giada?
Ora passiamo al mondo dell’accoglienza italiana nel 2025
Per continuare a mantenere uno stile di vita insostenibile, i gestori hanno risicato tutto quello che potevano. Prima hanno dimezzato la dimensione dei tavoli, poi dimezzato la distanza, fino a trasformare una cena fuori in una mensa aziendale.
Poi (solo gli italiani) hanno inventato il coperto, che consiste nel chiedere 4,5 euro a testa perché sul tavolo ci sono due posate, un bicchiere, grissini industriali e un tovagliolo di carta. Poi hanno riempito le cucine di cingalesi e pakistani schiavizzati in nero per non pagare sguatteri e lavapiatti. Poi hanno iniziato a posticipare le date di scadenza della carne. Poi hanno ridotto la qualità degli ingredienti aumentando le intossicazioni alimentari. Poi hanno aumentato i prezzi adducendo scuse via via più pagliaccesche. Poi hanno iniziato a chiedere 10 cent per tagliare una brioche. Due euro per tagliare un toast. Solo 1,50 per non mettere un ingrediente. Due euro per un piatto vuoto.
Purtroppo c’è un problema insormontabile: i camerieri.
I camerieri non sono soltanto “quelli che ti prendono le ordinazioni e ti portano il cibo”. Solo un ingenuo crede a una cosa simile. Se i camerieri fossero solo questo, allora potrebbe farlo pure un quarantenne o un cingalese. O un robot della Tesla.
Ma non è così. I camerieri sono l’esca.
Sono carne ventenne messa lì per attirare i predatori.
E per questo i camerieri devono essere belli e italiani, acciocché possano ben comprendere le strepitose avances e le sagaci battute dei clienti. Le cameriere sono lì col pretesto di portare da bere. Ma di fatto garantiscono di sorridere invece di mandarti affanculo o tirarti un ceffone. Rideranno persino all’immancabile battuta sulla birra “bucata”, sul piatto che “non serve lavare”, sul caffè preso amaro “come la vita” e altri capolavori dei Cesare Cabarettisti di turno.
Finché siamo in Germania, in Francia, in America, in Norvegia o Finlandia, può anche funzionare. Sono paesi in cui c’è una forte educazione sulla fisicità e uno stigma su quello che è appropriato e no.
Ma qui siamo in Italia.
Sei contenta, Giada?
Padri boomer sessualmente frustrati.
Madri bigotte.
Preti malati.
Nazitelle nei social.
Clericofascisti in parlamento.
Età media più alta d’Europa.
Vent’anni di Mediaset.
Quarant’anni di commedie italiane e cinepanettoni.
Y E A H.
Grazie a questi ingredienti, il nostro popolo ha una forma mentis ben chiara: i giovani si possano prevaricare e abusare. E per le fan di Michela Murgia, tranquille. Di tutti i lavori più di merda che ho fatto nella mia vita, la ristorazione è l’ambiente con gli abusi e le molestie più trasversali e inclusive.
Quindi, se sei una cameriera, in Italia devi fare finta di credere che quella mano t’ha sfiorato le tette per errore. Se sei un bel ragazzo devi stare zitto e sorridere quando la cinquantenne con le amiche chiede “nel menu ci sei anche tu?”. Devi consolare con discrezione la collega diciannovenne che sta in bagno a piangere perché sia il padrone che i clienti la trattano alla stregua di un animale da monta. E se sei maschio devi smetterla di frignare, perché sotto sotto ti piace.
Poi attenzione: ci sono persone che sta roba la sfruttano a loro vantaggio.
Ma non è giusto sia obbligatorio.
Comunque allegra, Giada: ci sono buone notizie!
Purtroppo la ristorazione italiana proprio non trova camerieri.
Eroi civili come Charlotte Matteini fanno presente che basterebbe pagarli di più? Certo, ma ai ristoratori non piace l’idea di pagare i negri che prima lavoravano gratis. Così un ristoratore ha appena proposto venga applicata anche in Italia la regola della mancia obbligatoria. Questo dovrebbe invogliare i ventenni a tornare a fare i camerieri!
E sai cosa?
Di sicuro mi spingerebbe a tornare nei ristoranti.
Non mugolare così, Giada. Io non vedrei l’ora di assistere alle urla dei sessantenni che al momento di pagare si rifiutano di lasciare la mancia perché non ti sei fatta mettere un dito nel culo. O il cameriere non ha sorriso quando gli hanno strizzato i coglioni.
Io pagherei bei soldi per assistere a una versione del monologo di Buscemi sul violino più piccolo del mondo, ma interpretato da un baby pensionato al terzo Campari. O da impiegatucci della Megaditta con l’Audi Q9328 aziendale che arrivano belli carichi: la vuoi la mancia, tesoro? E quanto la vuoi? Perché io sono qualcuno, sai.
Dai, Giada, mettiti nei miei panni: per assistere a uno spettacolo simile avrei dovuto vivere nel medioevo o a Costantinopoli. Quindi depilati, mettiti un intimo decente e sorridi. È ora di “mettersi in gioco”, di “imparare un mestiere”, di “fare la gavetta”, di raccogliere “la straordinaria opportunità”!
E se proprio vuoi dei soldi, cerca di essere più carina coi clienti, capito? 😉
Adesso stai buona che mi sta chiamando un numero sconosciuto: “Yes, hello? Luigi Mangione? I don’t know any Louigi Mangionew, why?”