«Bè, eeh… Nasdaq 32%, il… il Mibtel, percentuali…»
«Atza, più naturale, par che reciti il rosario.»
«Non dimentichiamo Wall street, 60-60%, titoli azionari posterdati.»
«Ecco, Nebo va già meglio. Business e transazione, pacchetto azionario, cosa ne pensi?»
Luca, con il viso ridotto a una maschera di sudore, si allarga il colletto della camicia perlustrando con lo sguardo il ristorante: «A ‘sto giro c’ammazzano» deglutisce «… io ve lo dico, ci trovano in un fosso.»
È il 2015. Siamo in quello che credevamo il ristorante più costoso di Mestre e siamo tutti in giacca e cravatta. A tavola c’è una ragazza bionda sui vent’anni, con zigomi perfetti, occhi azzurri, labbra alla Jolie che ci osserva con attenzione senza capire una parola di italiano. È il grande amore di Ario e si chiama Yelena.
Aveva una storia piuttosto banale.
Nata in un paesino dell’Ucraina, suo padre appena saputo della gravidanza aveva riscoperto la passione per la steppa; siccome laggiù si campava grattando patate a mani nude a -32° per tre centesimi al secolo, sua madre si era trasferita in Italia, a Mestre, in un miniappartamento in centro subaffittato a tre latitanti pakistani. Faceva pulizie per 10 euro l’ora nelle case della “Mestre bene” e inviava il grosso dei soldi in Ucraina per permettere a Yelena di studiare.
Lei invece era diventata una Instagrammer di successo, nel senso che esibiva carne e Photoshop per essere pagata in like e commenti. Un tripudio di borse Vuitton, macchinoni e locali Casamonica friendly la raccontavano come brillante dropout che aveva sfondato nel mondo delle webstar. Poi la madre era stata assassinata dal povero Maurizio, un uomo colpevole di amare troppo – così l’avevano definito i giornali – e di essere un pregiudicato. Il buon Maurizio aveva chiesto alla madre di Yelena 7000 euro, lei aveva rifiutato e lui aveva obiettato con 23 coltellate di cui 2 fatali; aveva vinto la discussione, ma anche un ergastolo. In Ucraina, Yelena affrontava un’improvvisa crisi di liquidità, così aveva presentato ai suoi followers il suo improvviso sogno: scoprire l’Italia.
Dopo aver fatto debiti con gente che firma assegni a revolverate era fuggita.
Aveva iniziato a proporsi come donna di servizio, ma in ogni singolo appartamento dove metteva piede i mariti tentavano di trombarla; una proposta dopo l’altra, in soli sei mesi era finita a lavorare come performer in un circolo di artisti molto ambito dalle parti di Preganziol: «Quello dove ci sono i pali e ricchi mecenati fanno offerte» ci aveva spiegato Ario, mettendo la mano a tulipano e facendola scattare verso l’alto con un gesto secco.
Siccome la bacheca Facebook di Ario comprendeva solo escort, trans, meme da seconda media e pagine chiuse dalla Digos, quando il locale aveva presentato Yelena come novità, lui aveva iniziato a chattarci. Tramite un terrificante innesto di italiano, inglese, dialetto veneto ed emoticon era riuscito a convincerla di essere un broker di successo che aveva subito il sequestro dei beni. Si erano visti, l’aveva portata a passeggio per Venezia e davanti a palazzo Franchetti aveva detto “you see, zis essere mai house before evil polis”. Lei gli aveva creduto senza indugio e proprio per questo aveva tenuto le gambe ben strette: era convinta d’aver trovato marito e voleva dimostrarsi donna d’altri tempi.
Un giorno Ario si era presentato al bar e supplicancoci di vestirci in giacca e cravatta per fingere una cena di lavoro nel ristorante che credeva più chic di Mestre.
«Tanto non capisce un cazzo d’italiano» ci aveva rassicurato «Vi presentate, chiacchieriamo di quello che volete, basta che ogni tanto dite Nasdaq, Dow Jones, Ftse, sparate cifre a caso e poi torniamo a parlare di fantacalcio.»
«Ma chi paga il ristorante?»
«Scappiamo senza pagare, ovvio. Tanto chi ci tornerà mai più?»
Il ristorante esclusivissimo era stato tale fino ai primi anni ’90. Alla morte del gestore, i figli avevano deciso di svecchiare il brand: basta materie di prima scelta, basta cuochi costosi, basta camerieri in livrea, basta con l’ambiente ingessato. In sei mesi era finito in un turbine di intossicazioni alimentari e recensioni al napalm su Tripadvisor, ma agli occhi di una contadina ucraina pareva ancora la reggia di Caserta.
Luca, agente immobiliare, aveva dovuto prestare a tutti i completi e le camicie. Le cravatte le avevo fornite io rubandole da guardaroba paterno, giacché Luca ne aveva una sola con i colori dell’azienda. A questa tragedia andava aggiunto che ci eravamo caricati di Negroni a stomaco vuoto perché consapevoli del finale tragico, quindi abbiamo già un aspetto
«Non puoi mettere Handanovic con Abbiati, ti costa troppo. Nasdaq. Invece ho Agazzi che mi sta dando rendimento pazzesco» fa Ario «Mibtel Mibtel, transaction, deal.»
«Pure Viviano. Io ho fatto Viviano + Agazzi, De Sanctis + Consigli, Ujkani + Frison.»
«National security bank» dico, annuendo.
«Lavezzi se n’è andato, sicuro la prossima stagione faranno un 3-5-1-1 stracoperto per pigliare meno reti. Dow Jones, Wall street, money.»
La cena procede in un crescendo di nonsense.
Episodi degni di nota:
1. Atza che improvvisamente esplode. Nell’aria si forma una nuvola di pezzi di triglia alla livornese, lui attraversa tutti i colori della bandiera LGBTπ+√2^16, si alza col viso rosso pompeiano, si strappa la cravatta con le lacrime agli occhi, rantola, sputa, piazza un rutto tale da far tremare le otturazioni dei denti e crolla sulla sedia, spossato in un oceano di sudore.
2. Luca viene colto da attacchi di panico quando scopre che il personale un tempo professionista è stato sostituito da teppaglia chioggiotta dal coltello facile, ed è convinto la sua vita terminerà al momento di pagare. Sudato come un purosangue dopo la gara, mormora che c’ammazzeranno tutti. Due volte viene fermato da Ario con sguardi e torsioni del braccio mentre tenta di fuggire da solo.
3. Yelena, per mantenere la sua illusione, sul cellulare guarda foto di palazzo Franchetti e di tanto in tanto la mostra dicendo che qui cambiamo tappezzeria, qui ci mettiamo due divani, lì bisogna mettere cose moderne.
Alla fine, Ario si gira verso Yelena: «Tuto good?»
«I’m boring» sbuffa lei.
«Do you want andare a home a fare el chumba chumba?» le domanda dolcemente, tenendole la mano mentre con l’altra muove il pugno avanti e indietro. Lei, ammaliata dall’arguta allusione, sorride. La cena volge al termine, e decidiamo di uscire fuori a fumare. Ario si affretta verso la macchina spiegandole che ha fatto mettere tutto sul suo conto, poi noi facciamo per emularlo ma ci accorgiamo che un cameriere ci tiene d’occhio e indossa, inspiegabilmente, scarpe da ginnastica.
Siccome a nessuno di noi tre piace l’idea di venire accoltellati, smembrati e serviti come scottona nei prossimi giorni, diamo fondo ai nostri risparmi. Ario promette che ci restituirà la parte sua e di Yelena. Atza, togliendosi la cravatta, scuote la testa e si domanda perché dobbiamo continuare a essere suoi amici.
«Atza te dopo il duello con le spadine devi stare zitto, cazzo, zitto» aveva ringhiato Luca.