La nave più pazza del mondo

Non appena la USS William D. Porter esce dal cantiere riceve l’incarico di scortare il Presidente degli Stati Uniti attraverso l’oceano atlantico fino in Iran. Il motivo, una riunione segreta tra Roosvelt, Stalin e Churchill. La flotta è blindatissima. Incrociatori, fregate e cacciatorpedinieri serrati attorno alla corazzata USS Iowa, fiore all’occhiello della marina militare statunitense che custodisce al suo interno un plotone di agenti CIA ed il presidente Roosvelt.

La prima parte è semplice: basta partire. Levare gli ormeggi, salpare le ancore ed andare incontro ad una delle missioni più importanti della seconda guerra mondiale. Solo che é tanto una bella giornata, i gabbiani volano alti nel cielo, i marinai son tutti belli impettiti, le fanfare, la brezza marina, fatto sta che la USS William si dimentica le ancore in acqua e dà l’avanti tutta. A bordo si comincia a subodorare che qualcosa non va quando il romantico squillìo degli ottoni viene sostituito da lamiere accartocciate, deflagrazioni, raffiche di mitra ed urla. Il comandante Wilfred Walter si sporge dall’oblò e nota che la sua nave si sta sbadatamente tirando dietro una dozzina di altre imbarcazioni, l’auto del generale, qualche barile di petrolio, un paio di marinai, il direttore d’orchestra ed il suonatore di trombone. Abbastanza impressionato ordina l’arresto, ma un incrociatore pesa svariate tonnellate ed ha un’opera viva di migliaia di metri cubi, ossia un abbrivio trenta volte superiore ad un treno merci su ghiaccio. La USS William impiega cinque minuti ad arrestarsi, al termine dei quali al posto del porto c’é una credibile rappresentazione dell’ano di Cicciolina.

«Signore, dal porto chiedono di tornare indietro che devono dirci una cosa»
«Non c’é tempo. Ditegli che abbiamo da fare una missione top secret, noi. Motori avanti tutta. E tirate su l’ancora.»

 

 

«YAAA-HAAA, COMANDANTE!» risponde l’equipaggio.

 

Quando i cannoni del porto sono in grado di aprire il fuoco l’incrociatore birbantello é fuori tiro e galoppa a tutto vapore verso il rendez-vous concordato. Dopo 24 ore di navigazione la William D. Porter si riunisce alla flotta di scorta del Presidente.

Ora, dovete sapere che gli incrociatori sono dotati di svariati tipi di armi: missili, cannoni, siluri e bombe di profondità. Quest’ultime non sono altro che barili carichi di esplosivo che una volta lanciati in mare affondano e schioppano spaccando le paratìe degli eventuali sottomarini nemici. La mattinata prosegue nel sole di quel lontano novembre  del 1943. Tutto procede per il meglio. Le navi di scorta alla Iowa fanno esercitazioni con bombe finte perché, visto l’incarico, è bene essere preparati. Anche a bordo della William fervono le manovre, quando sul ponte di lancio viene percepito un “ops”. Tutti si bloccano. L’ufficiale guarda un marinaio che si sta mordicchiando il dito.

«Marinaio Russell, in che senso “ops”?»
«Cosa? Che “ops”? Io non ho detto “ops”, signore»
«Sì che l’hai detto»
«Avrà sentito male»
«Hai detto “ops”!»
«TENENTE, LE GIURO CH

 

La detonazione fa tremare l’intera flotta. Una colonna d’acqua alta quaranta metri investe lo scafo della USS William D. Porter mentre i sonar di tutte le navi alleate cominciano a suonare uso clacson-a-matrimonio-trevisano e le navi deducono di essere sotto attacco. Scattano le manovre evasive, tutti vanno un po’ dove cazzo gli pare tranne la corazzata Iowa con a bordo il Presidente che fugge sparando contro qualunque cosa si muova, onde comprese.

«AH DIO CI ATTACCANO» urla l’Ammiraglio Smith su una fregata «HANNO COLPITO LA WILLIE DEE, UCCIDIAMO QUEI BASTARDI! CONTATTATE LA WILLIE DEE, PRESTO! VOI SPARATE, PERDIO, FUOCO! FUOCO!»
«WILLIE DEE, WILLIE DEE, QUI È LA USS DAKOTA, QUALI SONO LE VOSTRE CONDIZIONI?»
«Ehilà, Washington, come butta?»
La sala comando si congela.

«USS WILLIAM, NON RICEVIAMO, QUAL È IL BILANCIO DEI DANNI?»
«Oh, niente, un marinaio disperso in acqua. Poi la sala macchine é allagata e dovremo un po’ rallentarvi, per il resto tutto bene, dai. Visto che giornata?»

Sguardi confusi.
La Iowa, in lontananza, sta ancora fuggendo in preda al panico cannoneggiando pesci e molluschi. L’ammiraglio prende il microfono: «USS William, state dicendo che non siete sotto attacco?»
«Iiiih, adesso, “attacco”… ci é solo scivolata una bombetta in acqua. Che meraviglia l’oceano, oggi, eh?»

 

 

 

 

«…a parte per il nostro marinaio disperso, dico.»

 

 

 

 

 

Sono necessarie due ore per spiegare a tutti che si è trattato di un incidente e rimettersi in formazione. A bordo non c’è un bel clima. Stai scortando il Presidente Roosvelt tra nazi incazzati e nella tua flotta qualche idiota ha deciso di infilare la nazionale delle olimpiadi speciali in divisa militare. Al comandante Wilfred viene chiesto di darsi una regolata. Risponde promettendo di “aumentare le prestazioni della nave“, frase che fa correre un brivido gelido lungo la schiena di tutti.

A bordo dell’USS Iowa nel frattempo Roosvelt s’é cacato addosso tutto il cacabile e fa una domanda legittima: “ah regà, metti che qualcuno a parte la nave del ritardo mentale lì dietro decidesse di attaccarci, saremmo in grado di difenderci?” Nello specifico, se li attaccassero con degli aerei, che succederebbe? I militari a bordo dell’ Iowa si sentono punti nell’orgoglio; cominciano a rilasciare palloni-bersaglio in aria e a centrarli coi cannoni per dimostrare la propria efficienza. Buona parte vengono colpiti, altri salgono illesi verso il cielo. La cosa non sfugge al vigile occhio della USS William D., che dal fondo della flotta è ansiosa di rifarsi. Decide di abbattere i palloni sfuggiti ai cannoni dell’USS Iowa.

«Oh, Dio, ancora loro» piagnucola il comandante dell’Iowa.
Ma fino a qui tutto bene.

Esaltati dall’iniziale successo i cannonieri della William D. decidono di dare ulteriore prova di professionalità e simulano un lancio di siluri: «Altro che “la nave del ritardo mentale”» gongola il comandante Walter Wilfred dalla sala comando «guardate la precisione, la potenza di fuoco, la scia di un siluro diretta verso la co

 

 

Wilfred si blocca.
Sposta gli occhi al cielo.
Li riposiziona.

La scia in mare c’è ancora.
Incuriosito, contatta il ponte per sapere quale buffo fenomeno marino potrebbe somigliare alla scia di un siluro armato diretto verso la corazzata Iowa.
«Ecco, signore» spiega il capocannoniere alla radio «ha presente la simulazione di lancio siluri che stavamo facendo?»
«Ebbene?»
«Ne abbiamo simulati due. Al terzo, come dire… non abbiamo simulato.»
Wilfred ha le mani sudatine: «Ripeta» dice.
«Eh, il terzo siluro è uscito davvero. Plùnf. Capita.»
«Capocannoniere, sta dicendo che abbiamo lanciato un siluro armato diretto verso il presidente degli Stati Uniti?»
«Bé, detta così é brutta.»

 

 

«COMUNICATE IMMEDIATAMENTE ALL’IOWA DEL PERICOLO! PRESTO!»
«Ma signore!» obietta l’arguto ufficiale di plancia «ci è stato detto di mantenere il silenzio radio tranne in casi di assoluta emergenza!»
«Hmm, vero» annuisce il comandante «allora diteglielo coi segnali luminosi»

Del resto la sola ipotesi che tutto questo succeda è talmente inimmaginabile da non essere prevista in nessun manuale di bordo. Il destino del mondo é ora nelle mani del telegrafista sul faro della USS William, un tizio la cui primaria occupazione è degustare i propri escrementi e leggere Beppegrillo.it. A bordo dell’Iowa il comandante McKenna ha il sistema nervoso al limite della schizofrenia e va avanti a siringhe stordenti per elefanti. Quando viene avvertito che la USS William emette buffe lucine non la prende bene.

«Ancora i mentecatti» pìgola «vogliono altri palloncini da abbattere?»
«No, pare vogliano fare inversione.»
«Dio grazie.»
«Aspetti! Ora dicono che l’inversione dobbiamo farla noi.»
McKenna stringe il tavolo fino a sbiancarsi le nocche: «Come “noi”?»
«Correggono ancora. Hanno deciso di fare inversione a destra. No, a sinistra.»
McKenna spacca il tavolino.

«Altra correzione, signore. Destra.»
«Ma chi, perchè?»
«Credo noi. E’ difficile capire, sbagliano tre parole su due.»
«Perché fare inversione?»
«Ah, CAPITO! Dicono di avere sparato un siluro!»

 

 

 

«Verso dove» sussurra McKenna senza punto interrogativo.
«Sembra dietro di loro. Nord ovest»
«Tanto correggeranno ancora, lo so.»
«Esatto, signore! Correggono. Rinunciano ai segnali ed infrangono il silenzio radio. Dicono…»

Non esistono parole nel vocabolario per descrivere anche solo lontanamente le condizioni psicofisiche del comandante McKenna in quegli istanti.

«Il siluro é diretto verso di noi. Consigliano una manovra evasiva immediata, verso destra perché in caso non avessimo notato a sinistra c’è la USS Dakota e ci sarebbe una collisione. Chiedono se siamo arrabbiati.»

Per un lungo istante McKenna e l’addetto alle comunicazioni si guardano, poi sul ponte scoppia il putiferio. Valanghe di ordini in pochi minuti invertono la direzione delle eliche. La Iowa dà fondo a tutti i cavalli vapore possibili e vira mentre gli agenti CIA sono così disperati da mettersi sul ponte con le pistole in mano per tentare di far esplodere l’ordigno a revolverate. Per pochi metri il siluro sorpassa la USS Iowa, perdendosi nell’oceano. Può bastare. McKenna decide che é meglio una fregata in meno che avere alle spalle un bastimento di ebefrenici armati e dà ordine alla USS William di andarsene a giuocare ai pirati in qualche istituto per bambini speciali. Con aria contrita ed il capo chino la USS William raggiunge le Bermuda, dove viene circondata da Marines che arrestano tutti – e dico tutti – i membri della ciurma, cosa mai accaduta in tutta la storia della Marina Militare mondiale. Il capocannoniere “Aieie Brazorf” viene messo ai lavori forzati, il comandante e gli ufficiali invece vengono spediti in esilio nel bel mezzo dell’oceano Pacifico su un paio di rocce chiamate Isole Aleutine dove la temperatura sfiora i -50°.

Passa un anno.

In un bellissimo giorno di primavera la USS William D. Porter ed il suo portentoso equipaggio hanno terminato l’esilio. Possono tornare a casa. Entusiasti di non avere più a che fare con rocce ed animali orridi si dirigono verso climi più miti e temperati. A bordo si respira aria di speranza e riscossa. Molti festeggiano.
«Cannoniere, assicuratevi che tutto funzioni alla perfezione. Abbiamo un nome da riabilitare ed una guerra da vincere» tuona il comandante Wilfred Walter alla radio scatenando uno scroscio di applausi.
«Pronti!» risponde l’interfono.
In sala comando gli applausi non si sono ancora spenti che l’inconfondibile tuono del cannone fa vibrare le vetrate della William.
«Cos’era quello?» domanda Wilfred all’interfono.
«LA BELLA LAVANDERINAAAA, CHE LAAVA I FAZZOLETTIIII…»
«Signore» dice l’ufficiale di plancia col binocolo «ho una notizia buona e una cattiva»

 

 

 

 

 

 

 

A due miglia, sulla terraferma, la moglie del comandante in capo della base sta dando un ricevimento per inaugurare il suo giardino in fiore. Ci sono tutti gli ufficiali e rispettive consorti che si servono drink. Un pianista suona jazz. Uccellini cinguettano tra tacchi alti, foulard di seta ed uniformi immacolate. La vista sul mare leva il fiato. Una nave passa, lontano.
«Tesoro» flauta la moglie «che nave é quella?»

Il generale appoggia il calice di Franciacorta vicino alle begonie, cinge l’amata per i fianchi, guarda e sorride: «É la USS William D. Porter, tesoro. Ha una storia divertente, se vuoi te la racconto in brev

Il cortile esplode in un inferno di vetri, urla, sangue, fiamme, fiori triturati, schegge di legno e terrore.

 

 

 

 

 

 

 

«Sentiamo la buona notizia» dice Wilfred Walter, a bordo.
«I cannoni funzionano.»
«Ora la cattiva.»
«Bè, abbiamo appena eliminato il giardino della base. Sa quello deserto, con vecchie jeep, barche dismesse, rottami…?»
«Sì.»
«Ecco, noi invece abbiamo raso al suolo quello col Generale, gli ufficiali, le mogli, i bambini, la festa e le ortensie in fiore.»

Riassumendo, qualcuno a bordo ha affidato ad un marinaio ubriaco il semplice compito di testare l’ efficienza dei cannoni. Aieie Brazorf II° apre senza esitazioni il fuoco verso il primo bersaglio che ognuno di noi sceglierebbe: un giardino carico di fiche ed ufficiali. Non ci sono morti, ma feriti e contusi sono un centinaio. Dopo questo ennesimo sketch gli USA capiscono che la cosa migliore da fare é inviare questo branco di coglioni verso la morte il prima possibile. Abbiamo una guerra mondiale, perché non usarla?

Siamo nel bel mezzo della battaglia navale di Okinawa, forse uno dei più grandi scontri navali dei tempi moderni. Gli USA ed il Giappone si fronteggiano in una carneficina di fuoco e acciaio che alla fine lascerà sul fondo del mare 150.000 uomini tra marinai, aviatori e truppe. Buona parte delle due flotte si sta massacrando vicendevolmente da giorni.

«Ammiraglio McKenna!» avverte un ufficiale sanguinante «arrivano i rinforzi!»
«ERA ORA!» urla l’uomo, ormai veterano del mare «chi abbiamo?»
«È appena arrivato un incrociatore, è la USS William D. Porter!»
«…come?»

L’ufficiale vorrebbe ripetere, ma i cannonieri della Willie D lo precedono.
Ansiosi di farsi valere sul campo di battaglia sparano una raffica che centra la nave alleata la quale, tre ore dopo, affonda miseramente. Per qualche ora l’equipaggio della William D. Porter fa quello che sa fare meglio, ossia si alza la maglietta muggendo e cacandosi addosso tra pianti e risa isteriche per poi mangiare il gessetto della lavagna. Arrivano i kamikaze. La Willie D ne abbatte quattro, anche se non sono dalla sua parte. Il quinto, ferito a morte, sprofonda in acqua e si trasforma in un siluro che centra la fiancata esplodendo e trasformando la William D. Porter nell’unica nave al mondo ad essere stata affondata da un aereo affondato.

Si inabissa al largo di Okinawa il 10 giugno 1945.

Il comandante Wilfred ed il suo circo Togni umano, tuttavia, riescono a salvarsi. Salgono sulle scialuppe e nei loro ultimi metri di mare prima di essere tratti in salvo riescono ad affondare anche le scialuppe. Vivranno senza poter raccontare la loro storia fino al 1958, quando i dossier vengono resi pubblici ed ogni genere di sito, libro ed enciclopedia iniziano a raccontare le sue mirabolanti gesta.

E questo è il popolo che sfotte la Costa Crociere, signore e signori.