«Mi chiedo com’è trovare quella giusta, tòh»
«Per te sarebbe un traguardo trovarne una.»
«Io la mia stavo per farmela.»
«Pestare balene è un afrodisiaco, adesso?»
«Ario, sei te che ti sei fatto scudo della cicciona!»
«Tanto non ce la davano uguale.»
Liguria, una ventina chilometri al confine con la Francia. Tre di mattina. Seduti sul prato dell’autogrill finendo un Mars. Atza e Solero già dormono in macchina.
«Te come la immagini? La donna che sposerai, dico.»
«Fica.»
«Non fare il bambino.»
«Oh imbecille, se devo fare un bambino lo faccio marrone in bocca a tua madre.»
«Ha ha haha ha ha ha questa era carina.»
A diciassette anni non puoi capire.
Ormoni, seghe, droga e prime libertà ti fanno innamorare i giorni dispari. Il mondo è la scuola, la cena è sul tavolo, tua madre davanti alla TV sonnecchia. E’ dopo, che le persone cambiano, perché per natura le persone mentono. A sè stesse, soprattutto. Usiamo le balle per anestetizzare il dolore della realtà, ma siamo sempre bambini che accettano caramelle da sconosciuti. Telepredicatori comici, fidanzati saccenti, padri frustrati, giornalisti rockstar, cantanti della mediocrità, scrittori da Internet, politici sorridenti, tutti hanno una caramella da regalare e noi dobbiamo solo scegliere quale inghiottire. Il risultato non cambia. Le persone mentono. In amore si dice “non era quella giusta”. Giustifica in un colpo solo tutte le porcate, tutte le peggiori vigliaccate, le più disgustose e abiette azioni che abbiamo fatto. Non era quella giusta, che ci frega se è vero o no.
«La persona giusta non esiste. La rendiamo noi giusta o meno.»
«I’m figo.»
«? Cosa?»
«Come si dice in inglese sono figo?»
«I’m cool.»
«No i’m figo? Tipo internazionale?»
«No. Ma che c’entra?»
«Ho scritto Marika i love you sotto casa sua con il lucido da scarpe spray.»
«Scritto con cosa?»
«Col lucido da scarpe spray, problemi?»
«Ario… va bene, allora?»
«Siccome non potevo scrivere chi ero sotto ci ho scritto I’m figo.»
«Capirà»
«Davvero?»
«Ario, conosco un solo uomo in grado di scrivere su un muro una cosa del genere.»
Come tutte le idee inizialmente sembra funzionare. A suon di raccontarti palle riesci a saltare la sofferenza e tutta l’evoluzione che comporta. Una, due, trenta volte e va bene. Non era quella giusta. Poi la persona giusta arriva davvero ma sei troppo abituato alla fuga per vederla in tempo. Come nei cartoni animati dici uh-oh nell’esatto momento in cui è troppo tardi. Però passa. Ci metti sopra un altro nome, un lavoro nuovo, un trasloco.
«La donna giusta la riconoscerò dalle tette.»
«Fanculo le tette, il culo paleserà la retta via.»
«Te finirai a incularti bambini, te lo dico io.»
«Vuoi che intanto faccio pratica con gli illegittimi di tua madre?»
«Brutt…»
Dopo anni ti guardi allo specchio e realizzi che la promozione, la nuova storia, la vita del single che nel monolocale invita le quarantenni rimorchiate, c’ha un sapore fiappo. Non brutto, solo fiappo. Come i sapori sentiti dai fumatori. Ti diverti con gli amici, fai sport, hai ragazze, viaggi, fai feste, tutte cose normali. Poi quando sei sotto la doccia ci ripensi e commenti sempre “mah, bòh”. Quando la tua mano scrive quel messaggio hai l’impressione non sia la tua.
«Ho la domanda definitiva» dico.
«Spara»
«Che lavoro farai da grande, ma SERIO.»
«Il pappone.»
«Ecco.»
«Scusa, te non hai detto che volevi avere tante figlie?»
«HO DETTO
«Non so, fondare un impero in qualcosa, fare carriera.»
«Ma se hai mollato l’ITIS per comprarti il motorino!»
«Mbè? A che cazzo mi servivano quelle robe? Io parto dall’officina, poi non posso costruire astronavi?»
«No!»
«Perché?»
«Perché non è come cambiare la guarnizione o testare la centralina, deficiente!»
«Tutte le macchine funzionano uguali.»
«Eh vabbè, adesso un ingegnere aerospaziale e un meccanico sono la stessa cosa!»
«No, gli ingegneri sono sfigati e non scopano.»
«Non ti ho ancora sentito parlare di amore.»
Adesso siete seduti in un bar. Se sei in grado di contare gli anni passati agli angoli dei suoi occhi rabbrividisci pensando a cosa devi essere tu. Che lavoro fai adesso? Ma dai, e tu. Bello, però, eh? Eh. Ho sempre voluto andarci. Poi dal nulla arriva. Sale dallo stomaco, passa per il cuore, strappa le frattaglie ed esce dalla bocca in un miscuglio di rabbia, nostalgia, speranza, affetto e paura. Una specie di rutto sentimentale. Questo è amore? No, ti dici.
«L’amore è una cosa che hanno inventato i comunisti per scopare gratis.»
«Tuo padre cosa vota?»
«Bertinotti.»
Non è amore perché l’amore rincoglionisce, omette un sacco di dettagli, si mescola con il sesso, stara i sensi. Nel complesso è uguale ad una dipendenza da droghe. Questa invece è consapevolezza. Lucida, assoluta consapevolezza. Quando ce l’hai davanti lo sai, non prima. E’ un fusibile che salta e non ritornerà a posto; il tuo cervello scatta sulla posizione successiva e realizzi che dovevi tenerti stretta quella donna. Che era previsto accadesse, solo che qualcosa è andato storto. Realizzi che te la porterai dentro e non importa quanti posti, nomi o chilometri metterai tra lei e te, per entrambi il tempo non passerà mai. Figure congelate in una fotografia, immobili, condannate a guardarsi senza riuscire a toccarsi. Non ci si può disinnamorare di quella persona, però si può imparare a vivere senza di lei.
«Senti» fa Ario, stiracchiandosi «dormiamo, che è quasi mattina.»
«Ok» dico «notte, ebete.»
«Notte, mongolo.»
E’ una vita bella, tutto sommato. Ti permette di avere conversazioni brillanti coi colleghi perché il dolore rende cinici. Crea comunione. Permette di far bella figura alle cene, di sembrare posato, maturo e adulto, di guadagnarti il rispetto di tua moglie e dei tuoi figli. Perché è così che va. Perché è così che deve andare.
«Per te c’arriviamo in Spagna?»
«Sì.»
Perché le persone mentono.