Paura e disgusto a Trapani (1/3)

Giorno 1
Milano.
La sveglia s’incazza alle 6.00, apro gli occhi e rutto negroni. Ho dormito tre ore dopo una notte iniziata con “un aperitivo” e terminata sproloquiando abbracciato alla porta di casa Minoggi. Riesco a svegliare Alessandro percuotendolo con una rivista di design. Grugnisce, si alza dal divano, si accende una sigaretta, scoreggia uso mostro e montiamo in macchina. Facciamo colazione in un bar vicino a casa sua, biascichiamo appena tra operai di varie nazionalità ed un barista strabico. Mi molla davanti alla sede dell’agenzia con l’alba che fa capolino tra i palazzi.

«Non vedo nessuno»
«Quello è un giornalista sicuro» dice indicando un tizio in fondo.
«Che ne sai?»
«Ha la faccia da stitico. Tutti i giornalisti hanno la faccia da stitici»
«Che ne sai?»Io non sono stitico»
«Vabbè che c’entra, sei negro»

L’ultima immagine che ho di Minoggi è lui che sgomma ed al mio “buona giornata” risponde con un vaffanculo e tre bestemmie. Non faccio a tempo a presentarmi al tizio che altri colleghi si palesano sbucando da tutte le parti.  Dal portone escono un uomo e una donna sulla quarantina, proprietari dell’agenzia di comunicazione che gestirà le tre giornate seguenti. Sono tutti in camicia per una strana legge del mio lavoro: se mi presento in camicia sono tutti in maglietta, mi presento in maglietta sono in cravatta. L’unico dei presenti con un’età accettabile le poche volte che alza gli occhi dall’iphone guarda tutti con odio e diffidenza. Provo a socializzare.

«Ehilà, anche tu qui per Trapani?» mi esce una voce roca da tossico.
«Hm»
«E’ che ti ho visto con la valigia, credevo fossi un giornalista»
«Sì, sono anche giornalista» precisa smanettando col telefono.

Sospira. Alza gli occhi.
«Mgnwrmzzine»
«Eh?»
«Ho un’agenzia di comunicazione»
Si rimette a smanettare. Magari se gli mando una mail è meglio.

Gli altri colleghi sono un magnaccia, un sessantottino miliardario, un ciccione di Panorama, altri non meglio identificati che sembrano appena usciti da un club mediterranée. Un vecchietto da me ribattezzato “Efisio” ha l’aria di essere caduto dal lettino della rianimazione. Si conoscono tutti, essendo nel ramo turismo. Montiamo a bordo dell’autobus diretti a Malpensa. Al mio fianco Efisio ansima, cianotico.

«Tutto bene, capo?» chiedo.
«HHHHsì, sì, HHHH»
«E’ sicuro? Non la vedo molto in forma»
«HHHH tornato dall’Africa, HHHH, trentotto di febbre, HHH, non dormo, non mangio, sto bene, tu sei… HHH, sei simpatico… HHHH»
Ora dice che mi ucciderà per ultimo.
Non lo fa.

«Tu hai una barca?» domanda il sessantottino.
«Un Quicksilver a motore» rispondo.
«Giocattoli» sbuffa «la barca è altro. Guarda qui»
Tira fuori il telefono, scorre le foto. Ha gli stessi gusti di D’Alema, saranno undici metri di scafo.

«Dodici e trenta. Interni in legno. L’ho chiamata Revoluciòn III»
L’ha chiamata così.

All’aeroporto non mi ricordo il check in, impegnato com’ero a cercare un bagno dove farmi 20 gocce di Novalgina. A bordo si ciaccola. Sono tutti veterani del mestiere, parlano di prezzi, business class, qualità delle moquette e dei pasti, pulizia di stanze, bellezza dei mari e delle cameriere. Il magnaccia esalta il fatto che in alcune linee aeree arabe le hostess donne devono inginocchiarsi per parlare con i passeggeri che le chiamano, perché una donna non deve mai guardare dall’alto al basso un uomo che le rivolge la parola.

«Son queste cose che fanno la qualità» spiega al sessantottino.
«Cosa vuoi, altri paesi, altra mentalità»
«Guarda, io l’altro giorno ho fatto un volo per Dubai con la Ahmed Kaboom Inshallah air e devo dirti, si stanno occidentalizzando, eh? Mi hanno portato un breakfast ma era molto cheap, molto così… le posate di plastica, per dire»

 

Tre ore dopo metto piede a Palermo. Sole. 21 gradi. Un tizio tarchiato ci carica su un furgone e partiamo per Trapani tra autostrade deserte e macchia mediterranea a perdita d’occhio. Arrivo all’albergo, la tonnara di Bonagia. Un posto da vippanza vista mare con porticciolo annesso. Ho una tripla. Interrogo il centralino chiedendo chi siano gli altri due.

«Qui risulta sia solo per lei»
«Signorina, io qui dentro mi perdo»
«E’ in quella con terrazzino e panorama, giusto?»
«Userò il GPS e le saprò dire»

Si può fare il bagno in mare, dicono, l’acqua è calda. Abbiamo 40 minuti per darci una rinfrescata e poi si parte per andare a documentare l’evento. Due minuti dopo sguazzo nel Tirreno. Doccia rapida, telefonata alla base per dire che sono arrivato, saluti alla Leo. Leggo gli scartafacci che ci hanno rifilato per capire dove sono, chi sono loro, cosa sto per vedere e soprattutto cosa diavolo vogliono che io faccia. La redazione è stata chiara: “vai e facci fare bella figura”. Tanto valeva dirmi di urlare “Allah akbar”.
Tre fogli di bellissimo, bravissimi, prestigiosissimi e non ho ancora idea di cosa si tratti. Annaspo su Google e scopro che ci saranno catamarani che faranno a gara a chi è più uomo girando in cerchio tra palle di gomma sistemate nel porto, ma in un modo particolarmente spettacolare ed emozionante, un nuovo modo di regata in grado di coinvolgere anche i profani. Due minuti dopo sono su Google maps che cerco locali nei paraggi, tanto è chiaro come andrà a finire.

Bussano alla porta, si parte.
Attraversiamo Trapani. E’ bella, somiglia a La Valletta ma riesce ad essere più sporca. Lattine e cartacce trasformano le palme in alberi di natale trash. Cocci di bottiglia, carcasse di biciclette e vecchi copertoni adornano le strade ed imputtanano tutta l’atmosfera. Alcuni vicoli sembrano un immondezzaio. Quando arrivo al centro portuale capisco che la cosa è grossa. Tutti parlano inglese. Tutti hanno braccialetti e pass personalizzati e non rimovibili; te lo legano al polso e te lo devi tenere per tre giorni. Ci sono i pass stampa (rossi), i pass dello staff (verdi), quelli VIP (oro) ed i pass HIGH VIP (platino).

 

 

 

Tra personale, curiosi, spettatori paganti, auto blu, catering e giornalisti saremo tremila persone ed è solo mezzogiorno. Entriamo nella vip lounge raphrasent yo dove troviamo gli equipaggi di Luna Rossa, Oman Air, Alinghi ed altri tizi con la polo e i mocassini. Adocchio il mastodontico buffet. Tartine spinaci e gorgonzola. Pasta fredda. Prosciutto. Crema di salmone. L’occhio sinistro ha un sussulto quando leggo “free bar”. Il problema è che siamo qui per la conferenza stampa. Io le odio, le conferenze stampa. Sono lo sperma finto del giornalismo. Gente fa non affermazioni a cui seguono non domande che serviranno a redigere non articoli. Tanto valeva ricevere i foglietti via mail, correggere le virgole e tanti saluti. Del resto la nera la fanno così da anni. Poi a cosa serve farla prima? Vi aspettate di vincere, sì. Vi piace il vostro team, sì. Siete felici di essere qui, sì. Ora permettete che io faccia una domanda retorica di dieci minuti per far presente a tutti che io ne so a pacchi:

Sig. Alinghi, la sua prestazione in data 23/4/2011 è stata di 9.5 punti inferiore alla prestazione di Luna Rossa che ha totalizzato 10.4 punti virando alla 4° boa tagliando il vento che soffiava a 2 nodi da SSE in un tempo inferiore al vostro, dopo la virata della 2° boa avete orzato con un ritardo di 0.23 secondi subendo il calo di libeccio documentato a 0.5 nodi?
«What?»

Reputa quindi probabile che oggi, partendo da una posizione secondaria, uno scafo costruito dalla Western, per quanto in vetroresina avanzata – potrà competere con nuove generazioni di leghe al duranio che stanno prendendo piede? Stiamo parlando di un coefficiente di flessibilità che raggiunge i 2, forse anche tre millibar per centimetro quadrato.
«Hey Mark, how are you? Ready to sail? Haha, yeah, me too!»

Dunque non è d’accordo con l’opinione dell’ingegnere Kentamuro Fagakanasi, che in una recente intervista rilasciata al mensile “Le vele del cazzo e i tre stronzi che ci comprano magazine” sostiene la flessibilità alla lunga penalizzi l’effettiva durata dello scafo? Adduce il suo calo di prestazioni alle vele o all’equipaggio poco motivato a vincere una sfida dal punto di vista personale, più che scientifico?
«I think i’m gay.»

Non pensa che sfide di questo tipo mettano in risalto più l’aspetto tecnico dell’aspetto talentuoso, lasciando più spazio allo spettacolo fine a sé stesso piuttosto che ai tecnicismi che invece dovrebbero rimanere alla base di ogni singola sfida sportiva degna di questo nome? Che forse il suo calo prestazionale sia dovuto proprio a questo volere a tutti i conti abbracciare le nuove scuole, per quanto ammirevolmente, innovative e spettacolari?
«I’m definitely gay»

Questa caterva di puttanate mi ha stancato. Guardo il personale, basta un colpo d’occhio per capire che le selezioni le ha fatte un’agenzia esterna. Ragazzi e ragazze inglesi, neozelandesi, australiane, italiane di età massima 24 anni, tutte gnocche e che parlano minimo 5 lingue. Attorno security professionista, inglese, tra cui annoto due ex militari col riflesso condizionato di toccarsi una fondina assente. Arabi, gente coi soldi, macchinoni. In disparte sui divanetti c’è un tizio affiancato ad un pachiderma con la faccia più butterata di Danny Trejo. Sorride molto. Mi giro per domandare a Efisio chi sia quello. Efisio è bianco come il muro. Occhi lucidi, vacui, strani spasmi con la bocca.

«Efisio, tutto bene?»
«HHHHH, ma, HHHH, perché mi chiedi… heh, in continuazione, HHHH, perché sto bene?»
«Par di stare seduto vicino a Darth Vader»
«HHHHHH, a posto»
«Senti, chi è quello in fondo?»
«Credo, HHHHH, il portavoce del sultano dell’Oman, HHHH» tossisce.
«Ma se sembra un ergastolano»
«No non quello, quello non so chi sia, HHHH, dico quello a fianco»

Un arabo piccino e felice che sorride, annuisce e si guarda attorno con l’aria di un bimbo in coda per la brucomela. Se non ci sono altre domande, dicono, il buffet è aperto. Mi faccio due prosecchi, ingollo un primo, due secondi e il dolce e termino con caffè ed una doppietta di Montenegro. Mi trovo a fianco Danny Trejo versione Arab terminator che si sta servendo un bastimento di tramezzini. L’alcool mi fa dimenticare che il mio problema primario è l’inglese. Anni di film, telefilm, videogiochi e Internet mi hanno reso un ascoltatore e lettore della madonna. Lo capisco come l’italiano, non c’è problema. E’ quando dai ad un ex manovale il compito di parlarlo che iniziano i casini. Esordisco con

«YOU IS TEH BODYGUARD OV DE PRAZIDENT?»
«Haha, no, i’m the chief of the Oman televisions» gongola.
«WAT?» sbotto «IT AM NO POSSIBOL, OMAN HAS ONLY ONE CHANNEL TIVVI’?»
«No, 29»
«AND HOW IS DID YOU BECUM DE ONLY, YOU KILL TEH ATHERS?»
All’inizio mi guarda incredulo, poi comincia a ridacchiare. Poi ride. Poi ride di brutto, mi tira una pacca sulla spalla e dice
«Haha. Almost»
Almost vuol dire quasi. Lo so perché ho visto Apocalypto.
«ALRIGHT EXCUSE ME»

Raggiungo gli altri giornalisti che si stanno facendo vestire per salire a bordo dei catamarani durante la regata di prova. Lascio negli armadietti telefono, portafogli e chiavi, due stagiste mi vestono con giubbotto di salvataggio, casco, imbracature. Si scambiano strane occhiate.
«ITS FUNNY YOU SEE» dico entusiasta «IT IS DE FIRST TAIM CIU’ WIMMEN PUT CLOTHES ON ME, USUALLY IS DE OPPOSITE, HAHAHAH!!»
Una si allontana, l’altra fa una faccia strana.
Scendo le scale e raggiungo l’approdo. Dei gommoni caricano i giornalisti che saliranno a bordo dei catamarani. Sono sulla terza. Il tizio alla guida manovra da Dio, ci affianchiamo e la tizia dell’agenzia è agitata, dice che c’è forte vento e  che potrebbe essere pericoloso, quindi meglio rientrare. I colleghi concordano all’unisono, del resto c’han 60 anni per gamba e se pigliano mezza onda finiscono al creatore. Il prosecco che è in me dice che io vado lo stesso. David Carr, un marinaio di 98 chili, mi tira a bordo del catamarano prima che gli altri dicano niente. Ci guardiamo.
«What’s your name?»
«Nebo»
«Nebo, have you never been on a boat?»
«SHIT YES I GOT ONE»
«Ok, so you know what we’re doing?»
«BARELY, MY BOAT HAVE A MOTOR NOT DIS FUNNY BLANKET ON A STICK»
«You mean the sail?»
«YEEEEEAH BUDDAY»
«Right. So, listen. During the regade we’ll tell you where to go. When i say LEFT, you go there. When i say RIGHT, there. It’s likely the tension will rise, so we will shout at you, maybe even insult if you don’t move. Are you ok with this?»
«YOU DON’T KNOW MY GIRLFRIEND» rispondo.
«Really?» sogghigna Ben.
Fanno cenno di sedermi e la regata inizia.

Il meteo segnala bora in aumento e va tutto bene, il mondo è al suo posto, finché non ci avviciniamo a una boa, Ainsley vira e molla il gennaker. Il catamarano ha una spinta propulsiva simile a quella di un aereo al decollo, il vento mi impedisce di vedere chiaro, il catamarano s’inclina di trenta gradi a destra e c’arrampichiamo sullo scafo in alto. Poi vedo Luna Rossa che ci viene incontro.
«OH FUCK» grida Ben.
«OH FUCK» grida David.
«GHE SBORO, XE COPEMO» grido io.
[continua]