L’anatra e le tigri



E’ il 1917, la prima guerra mondiale. 


Tattiche e strategie vecchie si mescolano ad armi nuove. In un assalto morivano 12.000 uomini, 23.000 rimanevano mutilati, guadagnavi sei metri e il generale si complimentava perché avevate fatto enormi progressi. La balistica è in mano a ingegneri tipo SALeNTiN0_32cm e RokkoIlCastigatore_30cm che giungono alla brillante conclusione “per una grande guerra grande ci vuole un grande cannone”. Creano armi dal calibro via via più mostruoso i cui proiettili impiegavano alcuni minuti per raggiungere l’obiettivo e avevano un margine d’errore talmente ampio da essere ipotetico, ossia sparavi verso il duomo di Milano, ti accendevi una sigaretta, facevi due chiacchiere con il commilitone e BRAAM, a Garbagnate cinquecento persone saltavano in aria.

Buttavi la cicca e riprovavi.

La vita di trincea consisteva nello svegliarsi in una pozza di fango gelato, contare i morti per la febbre e il tifo sotto una pioggia di acciaio e tritolo che assordavano, mutilavano, uccidevano e distruggevano qualunque forma di vita. Dopo aver fatto colazione con brodo e lardo rancido l’ufficiale ordinava l’attacco.  Uscivi dalla trincea correndo incontro alle mitragliatrici nemiche. Se avanzavi, morivi. Se ti fermavi, morivi. Se tornavi indietro ti sparavano i Carabinieri e morivi. Una volta arrivato nella trincea nemica ti accoltellavi con degli sconosciuti tra bombe che esplodevano, proiettili vaganti, lanciafiamme, baionette lorde di sangue infetto e interiora sparpagliate.

Tutto questo perché i tuoi nipoti potessero votare Renzo Bossi.


Son soddisfazioni.






Siamo a 3000 metri di altezza. Fa buio alle 16. La temperatura di giorno è di -10° e di notte raggiunge i -30°. Gli Alpini sono tricerati in una posizione d’inferiorità, ossia alle pendici di una cima non meglio specificata. Sopra di loro ci sono gli Austriaci, soldati meglio equipaggiati, più nutriti e più sereni. Hanno sistemato un reticolato di filo di ferro che non solo blocca il passaggio, ma anche la visuale.

Per eliminarlo si usano shrapnel, proiettili da cannone che in caduta si aprono e fanno uscire centinaia di palle di piombo roventi.





Inizialmente erano nati come arma antiuomo per complicare la vita ai medici militari che invece di questo



si trovavano davanti questo.





Usarlo per i reticolati è tipo provare a sciogliere le cuffiette ingarbugliate con un petardo. Solo un maschio poteva inventare un metodo tanto idiota. In guerra servono tizi con le tronchesi o, ancora meglio, coi tubi di gelatina. Piccole grondaie piene di esplosivo che infili dentro ed esplodono spaccandolo e fondendolo. Strisci nel buio della notte, arrivi sotto il naso delle sentinelle nemiche e accendi la miccia.
All’improvviso sotto la volta stellata, in tutto il panorama buio e innevato, appare un cerchio di luce visibile a milioni di chilometri con su scritto “ciao, spara qui” con prevedibili conseguenze.






Il sergente Tobia Zambon è nato in Cadore, ha 49 anni, una moglie, due figli adolescenti e prima della guerra faceva l’operaio. Ha mani grosse come badili. Lo chiamano “crucco” perché dopo anni di guerra è un fine conoscitore dei popoli nordici. A Natale prese tutti i panettoni destinati alla compagnia e li fece recapitare alla trincea austriaca con su scritto “uno è avvelenato”. Gli austriaci, innamorati della cucina italiana ma disciplinati come automi, furono costretti a guardarli, annusarli e buttarli via.

-Sergente- chiama il capitano -metta su una squadra e tolga dai marroni quel reticolato-

Si fanno avanti quattro volontari. Si mettono la casacca bianca mimetica, prendono i tubi esplosivi e cominciano a strisciare nella neve. 

Il silenzio è assoluto.
Tengono la bocca contro la neve per non far vedere la condensa nella luce della luna. Ogni movimento pare risuonare contro i costoni di roccia. Si vede poco o niente. Un metro dopo l’altro arrivano sotto il reticolato e con movimenti al rallentatore tirano fuori le tronchesi. Provano a tagliarlo tenendolo fermo perché non si vedano le vibrazioni. Non funziona. Il filo spinato austriaco è straordinariamente forte e resistente. Due tronchesi si scheggiano, una si rompe. I soldati guardano il sergente nella penombra, scuotono la testa e fanno passare i tubi di gelatina all’interno.

Lo sparo e la testa di un alpino esplodono quasi contemporaneamente, trasformando la faccia del ragazzo in una maschera deformata. Il sergente grida qualcosa ma è coperto dal resto degli spari. I quattro ragazzi mollano tutto in preda al panico e si girano per scappare, diventando automaticamente bersagli. Ai fucili si aggiungono le voci delle mitragliatrici. Il sergente tenta di accendere la miccia lo stesso, ma viene investito da una raffica. Rotola su sè stesso mentre i tre ragazzi si alzano in piedi, creando delle sagome contro la luce della luna e venendo falcidiati.

Tobia si presenta dal capitano scuro in viso.

-Com’è andata?-
-Li hanno accoppati tutti-
-Chi erano?-
Marco Spesi, 19 anni. Luca Bisanzon, 22. Andrea Gigli, 18. Checco Zulian, 21-
-Hm. Lei come sta?-
-Neanche un graffio. Ma quei podeva esser me fioi-
-Eh, sergente, è la guerra. Metta su una seconda squadra e riprovi-

E Tobia, la notte dopo, riprova. Questo giro la squadra riesce a malapena a fare dieci metri, poi nel silenzio risuona il tonfo sordo di una granata sulla neve. Esplode un paio di metri davanti a loro, sollevando una nuvola di neve che si macchia di rosso subito dopo perché una scheggia ha tranciato il braccio di uno di loro. Si ritirano, ma non abbastanza in fretta. Gli austriaci rovesciano tanto di quel piombo a valle che una raffica quasi taglia in due uno dei ragazzi, che rimane a terra urlando suppliche strazianti alla madre.

-Com’è andata?- domanda il capitano.
-NAMMERDA-
-Tutti morti?-
-NAMMERDA-
-Chi erano?-
-18, 18, 23 e 22, NAMMERDA-
-E lei come sta?-
-NAMMERDA-
-Eh, sergente, è la guerra-
-E’ NAMMERDA-

Il capitano nota che Zambon è lievemente alterato, così lo lascia stare. La guerra di trincea è fatta così. La gente impazziva facilmente, creando una sindrome che la psichiatria mondiale non ha mai più rivisto in queste dimensioni, detta shell shockIl mattino dopo Tobia sta seduto in disparte, non parla con nessuno, manda affanculo persone random e continua a scrutare il reticolato finché, alle prime ore del pomeriggio, ha una faccia talmente brutta che gli mandano il medico a parlargli. Non serve e cominciano a temere l’uomo sia sbroccato di testa. La notte, quando tutti stanno dormendo, si presenta in armeria.

-Ciao zì- saluta il carabiniere.
-Go da ciol tre tubi de gelatina-
-Me devi fà vedè l’ordine-
-No lè. Dame tre tubi-
-None-

Zambon sbuffa.

-No stà far el teron, dame ‘sti tubi!-
-Ah mister grappa, t’ho detto noneeeee-
-Mia moglie m’ha fatto arrivare una soppressa-
-E che me frega, io sò de Frascati: ‘a porchetta de Frascati batte tutti li affettati
-Mi ha fatto arrivare anche una bottiglia-

Al carabiniere passa un lampo negli occhi.

-Mmmde che?-
-Bianco. Frizzante-
-‘nnaggia … pigliali, però se te vede er tenente so cazzi tua-
-Sì, sì-

Zambon prende i tubi, si mette il telo mimetico ed esce. Non lo vede nessuno mentre si dirige da tutt’altra parte, solo soletto, scomparendo nella montagna. Il giorno dopo nessuno lo trova. Alcuni credono si sia suicidato, altri che abbia disertato dopo quello che gli è capitato. C’è anche un carabiniere incazzato a mostro, ma non è intenzionato a dare spiegazioni. Alle due di pomeriggio in trincea la situazione è la solita, finché si sente una salva di esplosioni, troppo lontane per essere minacciose. Si guardano attorno tutti, austriaci e italiani, senza capire. Poi succede. Dalla parte superiore della montagna si stacca un masso, precipitando a valle. Rimbalza contro uno scaglione che, schiacciato dal peso, si spacca trasformandosi in una frana. In meno di dodici secondi sopra gli austriaci si materializzano tonnellate di roccia, alberi, terra e neve che procedono verso di loro rombando. La vedono arrivare e la trincea è percorsa da ordini e grida. Potrebbero salvarsi correndo verso il lato est, lontano dalla frana e dalle trincee. Solo che non possono.

C’è il loro filo spinato.



Quando il colonnello degli alpini dà la carica si trova davanti a un tumulo senza molto da fare. Il sergente Zambon rientra due ore dopo e  consegna la bottiglia al carabiniere. Vengono entrambi puniti.














Riadattato da “La vendetta del tagliafili”, Martino Michieli, Ricordi di guerra alpina 2, Casa editrice Panorama, 2008.