La resa dei conti

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E’ quasi mezzogiorno di una domenica di inizio primavera. Luca scala le marce con gesti sgraziati, nervoso come un fidanzato che vede avvicinarsi l’indiano con le rose. Lo stereo manda un vecchio pezzo dei Duran Duran. Io al posto del navigatore, Ario e Atza dietro.

«Allora, vi ripeto le istruzioni» dice Luca «vi prego, è importante»
«Sì»
«Vai»
«Dio, sforate le 500 copie vendute» dico, guardando il cellulare.
«Ehilà, ancora un po’ e fai la popolazione di Prozzolo» fa Atza, dietro «a quando lo yacht?»
«Il tuo sarcasmo non mi tange» rispondo con una smorfia.
«A merda il libro di Nebo, ascoltatemi» tuona Luca, spegnendo lo stereo «come tutti sapete, mi hanno licenziato»
«Sì. Oh, se decidi di suicidarti posso darti l’indirizzo di uno che mi sta sui coglioni e gli salti sulla macchina?» fa Ario.
«I disoccupati non si buttano, si danno fuoco» mugugna Atza.
«No, quelli sono gli imprenditori. Gli imprenditori hanno il cash per la benza»
«Non hai cinque euro per darti fuoco?»

«Ecco, è una buona domanda» ringhia Luca «ascoltatemi, per piacere»

«Che ne sai di quanta ne serve?» prosegue Ario, pensoso «già dieci euro diventa impegnativo, oggi metti un deca e all’AGIP ti pisciano a malapena la ricarica per lo Zippo»
«E metti che non basta e rimani solo ustionato?» domanda Atza, scettico.
«Prima provi con qualcosa di più piccolo per vedere se funziona»
«Tipo cosa, un nano?»
«No, quelli non li trovi facile. Un bambino, tipo»

«Vi ho chiesto di ascoltarmi» fa Luca, sbiancandosi le nocche sul volante.

«Certo, vai da una mamma, dici “scusi signora, devo suicidarmi, mi presta suo figlio per il crash test”?»
«Allora un maiale» stringe le spalle Ario.
«Ma che… hai idea di che casino sarebbe dare fuoco a un maiale vivo? Impazzisce, corre dappertutto, incendia cose, urla. Magari c’ha tanto di quel gas in pancia che esplode»
«Atza, mò i maiali esplosivi?»
«Sono i gas intestinali»
«Allora do fuoco al bambino. O esplodono anche quelli?»

«VOLETE TACERE?» fa Luca, rosso in viso.

Luca è stato licenziato. L’unico con ufficio, ventiquattrore, possibilità di carriera e macchinetta del caffè è finito per strada con un preavviso di 13 giorni e una moglie che sogna vacanze alle Canarie. Com’è tipico sono già passate due settimane e non le ha ancora detto nulla, terrorizzato all’idea di scoprire chi è davvero sua moglie. Noi uomini lo siamo tutti, nel profondo. Tette, culi e pompini servono a farci dimenticare cosa conta davvero nella vita.

Per questo Luca ha anche un’amante.

«Il piano è semplice» ansima il guidatore, sudato «voi siete i miei colleghi. Siamo a un pranzo di lavoro e fatalità capitiamo nello stesso ristorante dove sta andando l’Elisa con la famiglia»
«Di domenica?» chiedo.
«Sì. Quelli come me lavorano anche di domenica, ok?»
«Ahaah hahahaha ha, mattinate d’inferno nei parcheggi dell’Autogrill a leggere il giornale» ride Ario, felice «strenue contrattazioni sul menu panino più bibita media e muffin, però che soddisfazione quando ricicli lo scontrino del caffè»
«Vaffanculo» fa Luca con un sorriso tirato.
«AAHAHAHAHAH e tornare a casa fieri di essere riusciti a inculare la cassiera ma non poterlo dire a nessuno, l’emozionante seconda vita di zero zero cassaintegrato, operazione pezzenza»
«Parla quello che si sputtana lo stipendio sul terraglio e l’unica vacanza che fa fare alla moglie è ferragosto in coda a Cortellazzo»

«Ma perché vi siete sposati, a ‘sto punto?» domanda Atza.

«Le fottute amiche di Facebook» sbuffa Ario «a un certo punto le fiche sbarellano. Se tutte hanno la Vuitton falsa devono averla anche loro, e allora è un casino trovare il magrebo che spaccia le migliori. Allo stesso modo, se tutte si sposano devono sposarsi anche loro»
«E vissero per sempre felici e contenti» mugugno.
«COMUNQUE STAVO DICENDO CH

Elisa è delle tante sfigate nate belle, che quindi non hanno mai sentito il bisogno di migliorarsi e hanno messo la passera sottovetro in attesa di Johnny Depp con il fisico di Vin Diesel e i miliardi di uno sceicco arabo. Naturalmente il piano non ha funzionato, e a trentacinque anni sono così disperate da ciucciare le palle a qualunque cialtrone sappia rivendere frasi di Fabio Volo in un ristorante di media statura. Luca è uno di questi. Elisa, a oggi segretaria part time, è convinta di essere la donna di un giovane e affermato professionista che presto la sposerà. Purtroppo la vita, mentre perdi tempo a progettare il tuo futuro, tende a schiaffeggiarti con le tue stesse tette flaccide prima di lanciarti contro la vecchiaia per poi farti precipitare in un mare di merda.

 

SsMbbIC

 

L’eterna poesia

 

Di recente il sesto senso uterino di Elisa ha notato un fremito nella forza. I regali di Luca sono calati tanto da farle sospettare una mancanza di grano. L’ufficio di lui era bello grosso e a Mestre tutti sanno che ci sono stati licenziamenti. La zitella potrebbe aver fiutato il trappolone e si è fatta sospettosa, tanto da essersi permessa di andarlo a trovare in ufficio dove lui l’ha intercettata per un pelo. Per continuare a trombare la zitella per un lasso di tempo accettabile deve rassicurarla. E un pranzo di lavoro con un incontro casuale gli è sembrata l’idea migliore. Così eccoci qui. Atza indossa un completo Zegna anno 1982 di tre taglie più grosso che lo fanno sembrare Frankenstein. Cravatta rosa larga come un tovagliolo. Ai pantaloni non è mai stato fatto l’orlo e sembra Vanilla Ice in gran spolvero. Ario ha riciclato il vestito del matrimonio quando c’era la moda della stoffa lucida-finto-gomma. Nel frattempo è ingrassato vergognosamente, i pantaloni stanno su solo aperti grazie a una cintura dei cinesi a cui è stato aggiunto un buco con il punteruolo. La giacca è inchiudibile e non può alzare le braccia pena l’esplosione. Deve stare seduto dritto, tanto che pare di avere una salma in macchina. Io ho uno splendido gessato grigio OVS business beccato al Mercatino per 40 euro, forse precedentemente utilizzato per un omicidio, e una cravatta enorme che ho ridotto con forbici e spille di sicurezza.

«Credo la cintura stia cedendo» geme Ario «se parte il bottone minimo perfora il sedile e t’ammazza»
«Non avevi un vestito decente?» chiede Luca.
«Non sono aggiornato sulla collezione officina chic, e non ho lo stomaco di Nebo che indossa evidenze giudiziarie. Dio, mi mancano i tempi di quando sciacallavi i cassonetti della Caritas per rivendere porcate. Cos’era, 2001?»
«2002. Mangiati una merda»
«Eh, adesso ricetta da Internet, lava, stira, raddoppia il prezzo e via al mercatino»
«Non è illegale» stringo le spalle.
«Sei stupido? Saranno reati a manciate, tutta la tua vita è un costante latrocinio, cazzo, persino quando facevi basi rap scopavi musica di altri»
«Si chiama campionare»
«Eh, e la merda usata si chiama vintage, giusto?»

La macchina rallenta e parcheggia in mezzo ad altre. Il ristorante è la solita baita fuori mano, meta di gite domenicali di centinaia di coppie che vogliono un motivo valido per non scopare. Scendiamo. Luca si guarda attorno, preoccupato: «Vi avverto» ringhia, serissimo «se m’imputtanate anche questa giuro su Dio, non mi vedrete mai più»

«Datti una calmata, ‘ste cose su vacanze di Natale fanno un casino ridere» dico.
«Giusto, qualcuno scorreggi» fa Atza.
«Non sto scherzando. Elisa è… è l’unica cosa decente che ho»
«Piantala, è un rottame di puttana senza futuro» minimizza Ario.
«Cos’hai detto?»
Il tono è serio.

Ario si volta, sorridente: «E’ un rottame di puttana senza futuro e tu sei una merda che le scippa gli ultimi anni che ha a disposizione per figliare, tutto perché è una quarantenne che somiglia a tua madre e chiavarla non ti fa pensare a tua moglie che vuole pure lei un figlio e invece ha un licenziato anonimo. Andiamo dentro?»

Luca non dice niente. Stringe i pugni.
Ha gli occhi lucidi.

«Ario, leggerino, eh?» dico, supplicante.
«Dai, Luca, siamo tutti qui per aiutarti. Colleghi di lavoro, no?» dice Atza, aggiustandosi la giacca «e colleghi di lavoro sia»

Luca resta immobile, fissando Ario: «Giuro su Dio…» sibila, ma non finisce la frase.
Ci incamminiamo.

Travi a vista, ruote di carri e pentole di rame appese alle pareti, fiori di barena nei vasi, bancone in noce, tovaglietta di pizzo, registratore di cassa e cameriere in camicia e gilet che ci accoglie con un sorriso felice di chi ha addestrato l’occhio a riconoscere gente che spende. Guarda meglio il nostro abbigliamento. Il sorriso si spegne.

«Buongiorno» dice incerto, fissando Atza/Vanilla Ice.
«Salve, avremmo un tavolo prenotato a nome Benetton» dice Ario.
«Benetton?» chiedo.
«Chiaro, con un cognome del genere vuoi vedere che figata di tavolo ci hanno preparato?»

Il cameriere comprende la truffa e il viso passa dalla desolazione alla seccata incazzatura di chi realizza di averlo appena preso nel cacapranzi.

«Benetton, eh?» chiede con un sopracciglio alzato.
«Già»
«Tavolo in centro sala» quasi sputa «una signora è già arrivata»

Sono abbastanza vicino a Luca per sentire i muscoli contrarsi all’unisono, trasformandolo in un manichino di ghiaccio e paura. Io e Atza rimaniamo impassibili, mascherando la confusione grazie all’esperienza di scafati scippatori di gomme in tabaccheria.

«C-che signora?» balbetta Luca, pallido come un fantasma.
Il cameriere nota che qualcosa non va: «Tavolo per cinque, giusto?» chiede.
«Sì, sì, è tutto a posto» fa Ario, prendendo sottobraccio Luca «vieni con me, coglione»
Luca fa tre passi in trance, poi si divincola: «Ario, cos’hai fatto?» dice, tremando come una foglia.
«L’unica cosa sensata» dice lui, accompagnandolo.

 

 

Entriamo in sala da pranzo. La clientela è la solita, famiglie, qualche coppia over 40. Il tavolo al centro, rotondo e con i tovaglioli piegati a spicchio, ha quattro posti più uno occupato. Ci vediamo contemporaneamente. Lei, mani incrociate e sguardo spaventato, vede solo Luca. A me vengono i crampi allo stomaco. Rachele, questo il nome della moglie, si alza in piedi. Luca è immobile.

«Oh, Dio» geme Atza.
«Siediti» fa Ario, guardando me ma parlando con lui.

Non so come, siamo tutti seduti al tavolo. Luca è bianco come la tovaglia. Dal fondo della sala vedo una donna sulla quarantina che sbircia. Le mando l’occhiata più aggressiva possibile, cosa che riesce a spaventarla. Distoglie lo sguardo, allarmata. Luca non l’ha nemmeno notata. Deglutisce a vuoto davanti a sua moglie che, con occhi innamorati e lucidi, lo osserva. Lui tiene gli occhi bassi.

«Tesoro…» esordisce lei.
Lui fa per alzarsi. Ario lo rimette seduto con una pressione sulle spalle.

«Perché non me l’hai detto?» domanda lei, prendendogli le mani.
Lui si copre il viso con le mani.
Inizia a piangere, mentre Ario gli mena pacche sulle spalle.

«R-ripasso?» domanda il cameriere, dietro Atza.
«Intanto vino» dice Ario «caraffate, proprio»
«Preferenze?»
«Rosso, roba pesa»
«Io andrei di roba più seria» dico, sudatino «J&B»
«Capito» fa l’uomo, volatilizzandosi.
Mentre si allontana, lo invidio.
«Ricapitoliamo: come preventivamente spiegato via telefono, il terrone qui presente è stato licenziato due settimane fa ma non te l’ha detto perché ha paura di scoprire che sei un’avida puttana interessata solo al grano» spiega Ario «tu sei qui per dimostrargli che si sbaglia. Noi siamo qui in giacca e cravatta per celebrare questo storico momento. Vi lasciamo soli» conclude Ario, alzandosi.

Io e Atza siamo ben lieti di emularlo. Mentre mi alzo, faccio un cenno con la testa a quella che suppongo sia Elisa. Lei forse capisce, forse no. Al bancone prendo il J&B e gli altri mi emulano. Stiamo fuori a fumare, con l’adrenalina che scivola via.

«Ario» fa Atza, espirando mezza Marlboro «tu sai che lì dentro c’è anche l’amante con la famiglia, vero?»
«Mbè? Siamo giovani e gagliardi, menare cinquantenni non sarà mai peggio dei truzzi del Mojito» fa spallucce Ario.
«Tu sai cos’hai fatto? Hai mai pensato che le persone hanno il diritto di scegliere che fare della propria vita?»
«Perdìo, Nebo, ‘sta frase è così profonda che dovrò mettermi gli occhiali 3D»
«Sono serio, mona»
«L’avreste fatto anche voi, se avebbi avuto le palle di farlo»
«Aveste»
«Eh?»
«Aveste, no “avrebbi”»
«L’avresti fatto anche tu, Fabio Volo dei miei coglioni, se solo non avesti avuto paura di passare per stronzo»
«Avessi» gemo.
«Prima hai detto “avesti”»
«MA ERA D
«Scusate?» dice una voce di donna alle nostre spalle.
Ci giriamo. Da un rapido conto di scollatura, aura di disperazione e miseria, questa dev’essere lei. E’ scortata da un tizio della sua età.

«Elisa, giusto?» chiede Ario.
«Ssssì»

Ario si stacca dal gruppo e le va incontro. Da qualche parte, qualcuno suona un flauto traverso e il vento fa muovere le canne di bambù.

 

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Fanno tre passi verso destra e confabulano. O meglio, Ario parla, lei ascolta. Dalla faccia di lei si capisce che passano svariate emozioni, nessuna di cui sono sicuro. Rientra senza dire niente.

«Che le hai detto?» chiedo.
«Che lui è appena stato licenziato, quella è la moglie che l’ha saputo e noi siamo i suoi amici, ovvero una tavolata di trentenni incazzosi contro una di vecchi coglioni con puttana al seguito, decida lei se è il caso di fare scenate»

Finito whisky e sigarette rientriamo. Al tavolo, Luca e Rachele stanno quasi riuscendo a ridere tra di loro. Una volta seduti passiamo al vino. Il cameriere prende le ordinazioni. Il resto del pranzo passa con propositi, progetti, idee, qualche battuta d’incoraggiamento. Elisa rimane nel suo angolo, lanciando ogni tanto occhiate furtive, facendomi pensare che forse le donne possono essere meglio di quanto crediamo.