La merda arriva sempre all’improvviso, preceduta da un arcobaleno




– Ogni mattina prima di entrare in ufficio bevo un caffè al bar di fronte con i colleghi. Due giorni fa decido che ho voglia di un cappuccino. Siccome sono in ritardo lo bevo in due sorsate, pago, esco. 

Appena metto piede fuori dal bar sento che qualcosa che non va. Forse è il gelo, forse è la fretta, forse un Alien durante la notte m’ha stuprato nella bocca, fatto sta che ho il fiato corto, un vago malessere all’altezza dello stomaco e strani gorgoglii. Minimizzo, attraverso la strada ed entro in sede. Prendo l’ascensore. Al terzo piano comincio ad avere delle fitte, nausea, sudori freddi. Al quinto ho i crampi allo stomaco e riesco a sentire chiaramente l’intestino sciogliersi. 

Letteralmente.
Proprio sento tutto il suo interno che diventa acqua. Tuoni al mio interno mi fanno capire che gli Oompa Loompa si sono ribellati e stanno mettendo a ferro e fuoco la mia fabbrica di cioccolato. 


Il mio ufficio è riadattato da un appartamento, il bagno è quello di una casa con tanto di vasca e bidet. Lo usano uomini e donne. Non posso permettermi di arrivare in ritardo, barricarmi nel cesso e nel silenzio generale emettere boati inequivocabili percepibili come scossa tellurica fino in Tessaglia. Tra l’altro Lorena, due tette e due labbra su un cervello da nutria, ha appeso festose decorazioni e simpatici gadget profumati al mughetto che mi scoccerebbe radere al suolo con il mio arsenale batteriologico. 

Specie se voglio ancora sperare di chiavarmela.

Faccio per girarmi, l’ascensore è già ripartito. Capisco di non poter aspettare o quant’è vero Dio mi cago addosso davanti a tutti. Prendo le scale, le faccio mentre sale il panico. Arrivo al piano terra che oramai grondo sudore, tengo il culo stretto che potrei strizzarci limoni e corro fuori. Il bar ha lo stesso problema dell’ufficio. L’unica soluzione è la sede del comune, di fianco. Dentro ci sono i cessi all’americana, quelli in fila separati solo da una tavoletta che lascia mezzo metro aperto sotto e sopra. Vanno benissimo. Mi precipito dentro e in una sola manovra degna di Houdinì spicco il volo: spalanco il portoncino, mi sbottono per atterrare già pronto alla deflagrazione… ed è il dramma. 

Avendo il culo sudatissimo appena tocco la tavoletta scivolo. Faccio per tenermi al bordo e la mano finisce dentro la tazza, incastrandosi. Con il braccio bloccato finisco per terra e il culo si pianta sotto il separée di sinistra dove, con un suono che mi ricorderò per tutta la vita, suona le trombe dell’apocalisse. Una cosa tipo BA-BAA. In quel momento dall’altra parte una donna urla, io non so cosa fare e urlo anch’io. Tonfi, rumori, strilli, passi di corsa, non riesco a capire né fare niente. Sono un cannone umano. Dopo trenta secondi d’inferno il culo borbotta, sputacchia, tace. Sto disteso in un cesso pubblico col polso fratturato che ansimo per qualche secondo, poi il cuore torna a ritmi umani, il dolore delle botte comincia a farsi sentire e mi rialzo. A fatica libero la mano. L’odore è intollerabile, saturo, disgustoso. Giusto per sapere cos’è successo do un’occhiata nell’altro bagno e rimango sconvolto.

Pare ci sia esplosa una bomba. 

Ogni centimetro della parete è contaminato, tranne – e qui te lo giuro su mia madre – la figura della donna. Il contorno. Tutta la parete è verdastro marrone tranne la sagoma di una accucciata sul water. Ma perfetta. Vedi gambe, busto, spalle, testa. Una fotografia. Intravedi persino che stava tenendo il telefono in mano. Mi pulisco con il terrore che qualcuno entri, sgattaiolo fuori e c’è un gruppo di persone che parlottano in corridoio. Capisco che sono preoccupati per qualcuno, siccome mi danno le spalle prendo l’uscita di destra e sono fuori. Però non mi lamento. Cioè, a quella donna è andata peggio. Sei in bagno del tuo ufficio, stai guardando Internet per i fatti tuoi e tutto ad un tratto dal nulla appare un culo che ti esplode merda addosso.










Io e la Leo lo fissiamo a bocca aperta.

– Ma è successo veramente? – chiede lei.
– No – stringe le spalle Lorenzo, il mio amico banchiere – mi son slogato il polso cadendo dalla moto. Ma mi hai chiesto tu di spiegarti la crisi economica in modo semplice.