Il primo giorno in redazione


La radio si accende alle cinque e mezza di martedì mattina. 
Rispondo con due madonne e un gesù cristo. 

Cerco a tentoni di spegnere l’odioso apparecchio che canta Irene Grandi. “penso cheBAM dormire fBAMno a tTHUDrdi sia altBANnto straordinBAM, BAMaaaaari* Bene. Immobile, a letto, nel buio, ragiono. Irene Grandi. Lesbica. Fica. Megan Fox. No, Michelle Rodriguez. Immagino con tutte le mie forze di sentire la sua voce ruvida che mi dice “get’cha ass out of ma bed, NOW”. 

Mi alzo.
Un metro avanti, tre metri a lato, pigio il pulsantino e s’accende il neon sullo specchietto. Mi guardo. Sì, sono io. Me ne rassicuro, poi vado in fondo allo stanzone, tiro la tendina, abluzioni varie. Metto la ciotola del bucato a riempire sotto il lavello (la uso per radermi) mentre accendo il fornelletto per scaldarmi il latte. Finito di togliermi il pelame dalla faccia rimetto a posto tutto, attivo la macchinetta del caffè, mescolo le due cose. Ci sbriciolo dentro 4 fette biscottate e un cucchiaino di miele e consumo il tutto guardandomi i Duck Tales sul PC che durante la notte ha scaricato la nuova puntata. 

Non rompetemi i coglioni, son bellissimi.


Alle 6 sono fuori di casa. Buio, freddo, pare ancora notte. Luci spente, silenzio. Alle 6.10 monto in autobus. Persone. Siamo tutti ancora a letto, in realtà, anche se il corpo è lì. Ogni tanto c’è gente che sobbalza, si guarda attorno sconvolta e dice “dove sono?” e quelli a fianco gli danno il buongiorno. Questa è l’ora dei camerieri, dei pendolari cattivi (cioè fuori provincia), degli operai Fincantieri/Enichem/Porto Marghera.

L’autobus è una specie di bar sport per sordomuti: ci si conosce tutti ma nessuno si saluta e nessuno parla. C’è quello dell’acciaieria che sta riuscendo a guadagnare posti verso l’impiegata dell’aeroporto, di questo passo riuscirà a sentire l’odore dei suoi capelli fra due settimane lavorative. Ho l’impressione che per farlo si svegli più presto e vada alla fermata prima. C’è il giornalista. C’è il contabile che è un cliché; esile, occhialetti, sempre nervoso che si tocchigna le mani. Per strada neanche studenti. Scendo, ringrazio l’autista e mi presento in cantiere. Fabiano sta già tirando le più fantasiose bestemmie osservando il lavoro di ieri.

– TE GA DA FAR MEIO, NEBO, ZIO CAN – ringhia con un alito da vino – TI GA SEMPRE EA TESTA IN FIGA, ARA CHE PRIMA O POI TI TE FA MAL- 


Apro gli occhi. 
Mi guardo attorno.



Sono le 9.34. Devo essere in redazione “verso mezzogiorno, ma con calma”. Non so, forse dovrei tornare al mio vecchio lavoro.