Dio agisce per vie misteriose, incluso il mio impianto idraulico

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Mi sveglio alle 6.30 di domenica dilaniato da coliche intestinali. Nottetempo la donna m’ha scippato le coperte avvolgendosi a mulinello, e siccome in casa lei è sensibile siamo sensibili al surriscaldamento globale, la temperatura interna non supera i 9°. Raggiungo il cesso tremando come Michael J.Fox con un dildo nel culo e un taser nei denti. Mi siedo sulla tazza ancora addormentato e il pene eretto ci si appoggia invece di penetrarvi. Contemporaneamente alla prima scarica dissenterica, un missile di urina decolla rabbioso verso la porta irrorando l’accappatoio appeso. Scatto in avanti per infilare nel wc lo sputafigli, e la seconda scarica mi sorprende alle spalle detonando in uno SPRàH che dipinge cupi arabeschi sulla tavoletta.

Mi blocco così, immobile a metà strada, ansimando vapore di condensa. Effluvi mostruosi conquistano il bagno. Per un istante ripenso all’infanzia, gli Snorky, i puffi, mia madre che mi puliva il culo. Mi siedo piano coprendomi il viso. Singhiozzo, non so se di risate o pianto, e il pene ancora rigido batte contro la maiolica in un ripetitivo TUNG TONG TENG che ricorda un allarme antincendio.

Pulisco la Nutella dell’Isis canticchiando “vivono via da qui, nell’incantata città”.

Terminata l’opera mi ficco sotto la doccia utilizzando una saponetta biologica artigianale che odora di palude, non pulisce un cazzo ma rispetta l’ambiente. Appena il dannato entra a contatto con l’acqua muta in una poltiglia argillosa che si squaglia e precipita nello scarico, ingorgandolo. Tento di rimuoverlo, ma siccome sono così sfigato che mi reincarnerei a Hiroshima nel ’45, faccio peggio. Nel grattare lo spalmo tipo Bostik e sigillo ermeticamente lo scarico. La cabina doccia si riempie e trabocca. Chiudo l’acqua, apro l’armadietto e impugno la ventosa come He-Man la spada di Grayskull, e con la forza, la rabbia, l’orgoglio, la disperazione E LA MUSCOLATURA DI HULK L’IMMENSO PIANTO CON ENTRAMBE LE MANI IL MARTELLO DI THOR NEL SARLACC CH

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Da qualche parte nella casa sento SBLàNF, poi tiro. Dalle viscere delle tubature esplodono capelli, peli, unghie, tarzanelli, pezzi di sapone biologico. Mi sto riesumando, penso.

Finisco, mi asciugo. Sono le 7.05. Posso tornare a dormire. A letto i muscoli si rilassano, le coperte ridiventano calde, tutto tace nella quiete degli uccellini primaverili quando un boato mostruoso sancisce la rottura del quarto sigillo e l’avvento dell’apocalisse. Fuori un rombo subsonico fa tremare muri, finestre, vetri. Al gatto esplode la testa, ma non m’importa. Posso e voglio trapassare qui, al caldo, passando dal sonno alla morte. La femmina che ho accolto in casa per scopi meramente pneumatici si drizza a sedere, non capisce cosa cazzo succede e quindi mi percuote.

«Cos’è?!» urla, evidenziando le vocali a ceffoni «oddìo è il terremoto, amore sveglia, SVEGLIA, È IL TERREMOTO, SVEGLIA»
Apro gli occhi nella tempesta di botte. Ah, come sono sveglio.

«SVEGLIATI! NON SENTI? TREMA TUTTO!»
Acuisco l’udito. Riconosco la causa.
Guardo l’orologio.
Digrigno i denti.

«MA SEI DROGATO, NON LO SENTI?»
«È la crisi di mezz’età del vicino di casa» dico.
«Eh?»
«Ha quarant’anni, s’è comprato l’Harley Davidson. O quello o s’iscriveva in palestra»
«E rompe i coglioni alle sette di domenica mattina?!»

Tengo gli occhi chiusi mentre prego non arrivi il seguito della frase, ma siccome se io mi tuffassi in un barile di sigari ne emergerei con uno stronzo in bocca, puntualmente

«Vai a dirgli qualcosa, no?»

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Braghe della tuta, felpa rossa, montone, occhi abbinati alla felpa. Non c’è nessuno, solo una moto accesa. Aspetto, osservandola. È il solito reggipalle che tanto piace a noi scrotocefali. A me le moto fanno cagare. L’unica eccezione sono quelle anni ’30 e ’40, che effettivamente mi arrapano. Per il resto sono un fan delle quattro ruote. Avessi il cash peso mi comprerei una Lamborghini decappottabile, non questa roba qui. Sopra di me si apre una finestra.

«Vuole spegnere quella roba?!» grida un uomo «lo sa che ore sono?!»
«Non è mia» dico.
Si guarda attorno: «No? E di chi è?»
Mi guardo attorno anch’io: «È… del vicino»
«EH, DEL VICINO» fa quello, incazzato a faina «LA SPEGNE O NO?»

Si apre un’altra finestra.
La moglie.

«M’HA SVEGLIATO IL BAMBINO, È CONTENTO?!»
«Guardate che sono qui per lo stesso motivo vostro»
«Ma la smetta, cos’è, un bambino di tre anni?! Spenga quella roba e si vergogni!»
Richiude la finestra.
Il marito sta lì a guardare: «Devo venire giù?»

L’amigdala mi ricorda che sventrare di botte il vicino, l’uomo, la moglie, vendere il bambino agli zingari e la moto ai moldavi è comunque un’opzione. Poi ripenso alla mole di debiti che ho con avvocati e querelanti. Mi giro, osservo il quadro comandi del mezzo. C’è una chiave, in effetti. La giro, il rombo d’acciaio tace. La finestra si chiude. Resto lì, confuso come Adamo alla festa della mamma, quando dal garage esce il vicino quarantenne in giacca di pelle nera borchiata, jeans sdruciti, anfibio militare, spalle da impiegato e faccia da grillino.

«Cos’ha fatto?!» urla correndomi incontro.
«L’ho spenta» dico.
«Lei non si deve permettere di toccare la mia moto, ha capito?!» fa quello, arrivando e squadrandomi con astio.

«No, è perché faceva… rumore»
«Deve scaldarsi, e allora? Io vengo ad accenderle la macchina?» dice, montando in sella. Tento di rispondere ma lui accende il motore. Mi fa il gesto di andarmene a quel paese, s’infila il casco e parte. Resto a guardarlo che sparisce nella strada. L’amigdala protesta.

Rientro in casa.

Entro in cucina per farmi il caffè e realizzo cos’era lo sblànf. Il contraccolpo idraulico ha fatto il giro delle acque bianche e sparato sul piano cottura, sulla macchinetta del caffè, sui piatti puliti e su pressoché qualunque cosa delle primizie deliziose. Ci sono pezzi di insalata marcita, nervi di pollo putridi, fondi di caffè, olio vecchio, tutte quelle cose che normalmente galleggiano nel sifone.

Con dignità suprema ignoro tutto, mi giro e torno a letto.
Venti minuti dopo, l’urlo della consorte fa tremare i pilastri del cielo.