Così parlò la droga

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«Icardi in attacco, seconda punta Cadreva, a tre quarti piazzo Nainggolan e Pogba. In difesa Rui, Marchisio, Montoya…» fa Luca, scrivendo su un foglio appoggiato sulla Gazzetta dello sport.
«Chissà cosa va farneticando» commento, disteso sulla sdraio.
«È nel suo fantamondo» dice Atza, spalmandosi la crema solare sulla pelle bianco magnolia.
«Disse il barone dei Draghi Gialli» completa Luca.

Jesolo. La capannina durante la settimana è vivibile. È quasi mezzogiorno, in cielo non c’è una nuvola e sono fastidiosamente sobrio. Francesca manda via l’ennesimo ambulante, Leonora fa le parole crociate. Ario sta pisciando in mare vicino a una coppietta. Suoni di palloni, strilli di bambini iperattivi, odore di asciugamani bagnati e crema solare, piedi rinsecchiti e sabbia sotto le unghie.

«La spada insegna più del calcio.»
Luca alza la testa dal foglio: «Ma cosa? Roba tipo bambini, se i vostri genitori divorziano potreste diventare così? Quando c’hai trascinati alle feste cortesi pareva di stare dentro The Village, cazzo.»
«A ore undici» fa Leonora.

Ci giriamo.

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«Come, come non amare La Capannina?»
«Dai, i tacchi in spiaggia sono volgari» fa Francesca.
«Un posto dove non puoi portare tacchi è un posto dove non vale la pena andare» sospira Leonora.
«Ma se sei in mocassini!»
«Dopo ho le zeppe. Perché, tu per l’aperitivo come vieni?» si gira.
Silenzio.
«Oh, Gesù» geme Leonora, appoggiando la settimana enigmistica «mi preoccupo?»
«S-sandali piatti»
«Hai trent’anni e vieni all’aperitivo della Capannina in ciabatte digievolute contro plotoni di neodiciottenni in tacco 12?!»

Ario arriva, sputa acqua salata sulla Gazzetta di Luca, si scrolla i capelli bagnati su di me e osserva le tre passare mentre noi bestemmiamo.

«Classe, classe» annuisce.
«Ma che classe?!» esplode Francesca «sembrano zoccole! Perché cazzo voi maschi siete tanto ritardati?! Ci credo che non trovo nessuno, perdete le bave dietro… Ma in effetti sto parlando con un uomo sposato che va a travestiti mentre la moglie si fa montare da mezzo mondo.»

«Ore nove» fa Leonora.

 

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«Secondo voi quant’è gay su una scala da zero a Zara?» domanda Atza.
«Oh mio Dio, sensori di rosicamento fuori scala!» esclama Leonora «effettuare uvavolpe, ripeto, effettuare uvavolpe!»
«Nebo, son steroidi?» domanda Luca.
«Non so. Poi chi se ne frega, conta il risultato.»
«Tu perché non te li fai?»
«Perché con la testa che c’ho mi ci vedi a fare siringhe e dosaggi? Muoio dopo mezzo minuto.»

Il bello della Capannina è ti ispira. Da un lato le tette ti motivano, dall’altro gli addominali ti spingono ad allenarti cattivo e stare attento a cosa mangi. Amo la spiaggia perché è il posto più meritocratico al mondo. Quando ti spogli mostri chi sei, che vita fai, che scelte hai fatto, cosa t’ha dato la Natura e cosa c’hai messo tu. I vestiti complicano sempre tutto.

 

«Va bene, sgherri, mangiamo.»
Raccattiamo la roba.

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Tre toast farciti, un club sandwich salmone e avocado, un panino mozzarella e pomodoro. Seduti sulla terrazza fumiamo aspettando i caffè. Francesca spegne la Marlboro light: «Scusami» dice rivolta ad Ario.

«Di che?»
«Se t’ho chiamato… È un brutto periodo, tutto qui. C’ho un bel lavoro, una casa mia, sto mettendo da parte uno sfacelo di soldi… e non ho nessuno con cui condividere uno straccio di viaggio. Siete tutti ammogliati o morosati. Mi sento… sbagliata, tutto lì. Uscire con voi forse non è una grande idea.»
«Ma tu sei sbagliata, donna, ti metti gli occhiali da sole.»
«Eh?»

«Guarda che il matrimonio non è ‘sto paradiso che credi» fa Luca, sporgendosi «tornassi indietro non lo rifarei. Almeno mi risparmierei Atza che vomita nella vasca dei pesci rossi.»
«Scena sublime, altissima» gongolo «coi pesci che sbocconcellavano tramezzini predigeriti e lui col rivolo alla bocca.»
«Cristo, se ci penso mi torna voglia di bastonarti, Atza. Quel cazzo di quadro sventrato poi me l’hai risarcito?»
«Cosa dicevi degli occhiali?» fa Atza, sistemandosi sulla sedia.
«Giusto, a merda il quadro, tanto era finto. Perché mettiamo gli occhiali da sole?» fa Ario, rubandomi il bicchiere di birra.
«Perché c’è il sole» dico riprendendomelo.
«No. Per guardare senza farsi sgamare. Vale anche per gli uteri, no?»

«Circa» fa Leonora «a volte è solo perché siamo uscite struccate.»

«Eppure vi mettete tacchi e parrucco per venire rimorchiate.»
«A volte. Ma cosa c’entra?»

«Vedete, l’altra sera mi sono segato su Cicciolina pelosa, poi mi sono fatto un trip e ho capito il problema dell’Occidente.»
«Queste le parole che hanno commosso Bruxelles» dico.
«O la colonna sonora di Armageddon o niente» dice Luca.
«Silenzio. La vera differenza coi porno anni ’80 non è tanto steroidi, silicone, cazzi enormi, HD eccetera. Sono gli occhi.

 

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Fateci caso. Una volta le pornostar li tenevano sempre chiusi. Oggi o guardano in camera, o il tipo che trombano. Aperti, sempre. Gli occhi sono la parte fondamentale dei porno di oggi. Invece prendete Moana o Jessica Rizzo: sembrano tutte Bocelli. Cos’è cambiato?»

«È vero» commenta Luca «anche nelle foto, guardano tutte in camera.»

«Prendete le donne normali. Oggi si vestono meno, minishort, balle varie. S’atteggiano da emancipate, ma agli atti se le vedete per strada più sono svestite e più hanno gli occhiali da sole. Matematico.»
«Quella è sopravvivenza» fa Leonora «non puoi rischiare d’incrociare lo sguardo con tutti i maniaci che ci sono in giro.»

«Eccola lì» annuisce Ario «vi piace farvi guardare, ma non avete le palle di farvi vedere. Gli occhiali da sole diventano come lo schermo del cellulare: guardi il mondo senza che lui possa vederti. È lo stesso motivo per cui davanti agli incidenti, o ai concerti, la gente li guarda filmandoli col telefonino. Siamo dei cagasotto che non sanno più affrontare le emozioni forti. Dobbiamo per forza vederle attraverso un filtro che ci dia una sensazione di protezione. ‘sto meccanismo è così diffuso che oggi il vero tabù non è l’anal, ma gli occhi. I culi ormai li trovi dappertutto, lo sguardo no.»

«Non ti seguo» dico.
«Perché sei stupido. Esempio: per strada un uomo con gli occhiali da sole incontra una donna con gli occhiali da sole. Si piacciono, ma come fanno a capirsi?»
«Io per strada non le guardo apposta» fa Atza.

 

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«Cosa?»
«Come?»
«Uh?»
«Mi sta sulle palle darle la soddisfazione» fa spallucce lui.

«Torneremo su questo idiota tra un attimo» dice Ario «seguitemi: come fa l’uomo a sapere che tu donna stai guardando lui, se hai gli occhiali da sole?»
«Gli sorrido» fa Francesca.

«Ok. E lui come fa a sapere che stai sorridendo a lui, e non allo stronzo dietro?»
«Bè, deve arrivarci»
«Deve arrivarci. Non succede, perché magari mentre sorridi lui sta guardando altrove dopo tre ore che ti fissava senza risultato. Finisce con ognuno per la sua strada, seghe a casa, frenetica ricerca su Facebook, se va bene un like ogni tanto. Non sappiamo più gestire gli sguardi. Gli occhi sono una realtà troppo intrusiva che oggi ci mette a disagio. La prova? Tutto quello che vedete qui attorno è fatto apposta per bypassarli. Guardate quel tipo là; una volta sarebbe passato per schizofrenico, oggi invece è normale essere coperti di tatuaggi perché ti parlano oltrepassando il problema del non sapere se mi guardi o no. Ti dicono qualcosa di me, senza rischiare di far brutte figure. Da qualche anno le magliette da donna si sono impestate di scritte. Stasera faccio la brava, Io cuore New York, 69… sono richiami sessuali che si fanno con gli occhi, ma nessuno e nessuna ha più il coraggio di esporsi. Quindi delegano ai vestiti.»

Passa una ragazza in canottiera e short.
Sopra c’è scritto Lipstick, heels and rock and roll.

Ha gli occhiali da sole.

«L’occidente posta le tette su Instagram ma ha paura di farsi guardare negli occhi, quindi nei porno il proibito non è più un cazzo nel culo: è uno sguardo che esprime emozioni, desideri, personalità» conclude Ario «ecco perché sei sola come una merda, Francesca: vedono tutto tranne quello che serve. Ora possiamo dedicarci ad Atza che si strappa le palle per far dispetto alle donne.»

Ma nessuno fiata. Siamo troppo pietrificati non solo dal discorso sensato, ma dal fatto che all’improvviso un puzzle di migliaia di pezzi s’è messo insieme grazie a un puttaniere drogato. Se l’intelligenza è la capacità di fare i collegamenti, Ario è un genio. Passa in rassegna le nostre facce sconvolte.

«Sono solo l’umile messia dell’unico vero Dio, amici miei» decreta, stagliandosi contro il sole e guardando il cielo: «la droga.»