02. Essere astronauti

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Le musicassette “alla disperata” sono quando a casa sentivi un brano che ti piaceva e pigiavi REC nello stereo il più in fretta possibile. Il risultato erano 90 minuti di schizofrenia. Musica, loghi, voci, pubblicità, canzoni che partivano a metà e si sentivano di merda. A volte sentivi la stessa canzone otto o nove volte di fila, una dall’inizio, l’altra alla fine, l’altra in stereo, l’altra in mono. Questo tipo di cassette erano la colonna sonora del liceo quando durante la lezione, con la matita, mandavi indietro il nastro a mano per risparmiare sulla batteria del walkman e poi te le sparavi grazie ai migliori auricolari del mondo, quelli di serie del Game Boy.
La strada scivola veloce. Seduto a fianco di Ario, lo guardo percuotere la sola cassa funzionante mentre trasmette per la dodicesima volta “Cara ti amo” di Elio e le Storie Tese.

«A me sto pezzo ha distrutto i coglioni » fa Atza.
«Se mando avanti si mangia la cassetta, o aspetti o la giro»
«Dopo cosa c’è?»
«Non so»
Partono i Bi-Nario, Battisti non esisti.

«M’è esploso lo sfigometro. Gira»
«No, dall’altra mia nonna ha fatto casino coi tasti ed ha registrato Radio Maria»
«E cosa spingono, lo zecchino d’oro?»
«Macché, vecchi dimmerda telefonano e fanno a gara a chi ci crede di più»
«Non azzardarti NEMMENO A SFIORARE la cassetta rossa»
«Ascolto quello che voglio, è la mia macchina, dai di 883»
«NAAAAGH!»
«Con un deeeeecaaaaa…»
«Il silenzio tra un pezzo e l’altro basta a farti diventare frocio»
«Non sono froci»
«Allora perché il biondo fa sempre la voce da ragazza e balla che muove il culo?»
«Cosa c’entra, tutte le mie compagne di scuola vorrebbero scoparselo» intervengo.
«Alle donne piacciono i ricchioni»
«Vero»
«Già»
«Massì…»
«Solero, rollane su un paio»

Mentre la strada scorre guardo questo meraviglioso nordest passare sotto la 127. Sogno spiagge bianche, donne con le tette fuori come nella pubblicità dei solari Bilboa. Ario è il nostro eroe, unico adulto patentato in mezzo a noi sfigatissimi che ancora elaboriamo Fifty. Campi. Fattorie, capannoni. Campi. La conversazione si sposta in base al quantitativo di droga che lentamente raggiunge livelli critici. L’odore di sigarette, ganja, cioccolato e piedi si attenua grazie al letame dei campi.L’aria dai finestrini è un ceffone sudaticcio. La sensazione è quella di stare facendo una cosa importante. Sai che stai facendo qualcosa di grande, di mastodontico e sai anche che sei troppo sbiellato per godertela. Il giorno più importante della tua vita, l’addio dell’adolescenza, il benvenuto nel mondo dei grandi e tu sei schiantato di droga che gorgogli saliva sputando puttanate spaventose su improbabili cantanti o ascoltando dei debosciati che danno della zoccola a Pamela M. perché l’ha calata a tutti tranne che a loro.

Dopo quasi un’ora cominciamo a sentirci fuori dal mondo, tanto che la cartina stradale viene estratta e studiata con attenzione punto per punto.

«Dove siamo?»
«Quasi a Vicenza. Non corre di più, questo cesso?»
«No, ci sono troppi stronzi dentro»

Un po’ perchè la fame chimica ci ha sterminato le riserve di cibo, un po’ perché urge pisciare, il nostro primo autogrill ci accoglie a braccia aperte. Ci dividiamo. Io e Solero andiamo dentro, Ario ed Atza si sgranchiscono le gambe. Al ritorno hanno attaccato discorso con un paio di straniere.
Inglesi, spiega Atza di fretta. Occhi di ghiaccio, fisico da fotomodelle, belle come un biglietto sola andata per Amsterdam. Ario è il più decente tra noi e sfrutta il mio inglese per i suoi scopi. Le tizie sono in Italy per vacanza premio di studio collage. Una ha parents here. L’altra è bestfriend, e noi? Noi si va in Spain, Espagna.

«Dille che siamo drogati, gagliardi e ci piace la fica» fa Ario, barcollando.
Dico che al mio amico piace viaggiare. Le ragazze fanno occhi ammirati e sorridono, you don’t look like an adventurer, hihi.

«Cos’hanno detto?» domanda Ario.
«Che non sembri un coso, un.. un avventuriero, un viaggiatore»
«No, eh? Ehi, girls » dice guardandole «ai stadi for bicom un astronauta»
Lo stadio esplode.

Ci guardano, guardano lui, riguardano noi e sorridono senza avere capito una sega.
Noi stiamo alle convulsioni mentre il prode Ario assume tonalità rosso carminio: «CHE C’E’, UNO NON PUO’ VOLER FARE L’ASTRONAUTA?»
No, non può. L’ilarità è al massimo, un fiume inarrestabile. Le london stronze ci guardano con aria interrogativa. Parlottano. La capoccia davanti ad Ario scuote la testa con espressione modello “eri carino, peccato tu stia con dei coglioni”. Aspettano che smettiamo. Le ignoriamo. Una si gira e se ne va, l’altra la segue mentre noi continuiamo a scompisciarci addosso.

«Fioi, vara, no go paroe» ringhia lui «erano fiche stellari»
«Sì ma Ario, diomadonna » ulula Atza disteso sull’asfalto «ai stadi for bicom astronauta e ti xe aiuto meccanico»
«Eh, sì, ha ha ha ha, ridete, intanto ci siamo persi delle strafighe»
«HAHAHAHAHAHAH»

Un Capri, una coca grande, un caffè. Si riparte progettando di far guidare Ario finché se la sente. Passa Vicenza, superiamo indicazioni per Gardaland e quando il cartello Verona entra nel campo visivo sono passate tre ore e mezza di viaggio complessivo. Si è ufficialmente fuori dal Veneto e dentro la Lombardia. L’autostrada è buia, un fiume di anime bianche e rosse che chissà da dove vengono e chissà dove vanno. A notte inoltrata siamo a Brescia, tutti in stato semi comatoso.

Quando riapro gli occhi sono le 4 di notte ed è perché sento il motorino d’avviamento che grippa. Poi un coro di voci che sbraita, riesco a distinguere Ario, poi Atza. Dicono “partipartipartiparti”. Apro gli occhi. Il primo calcio incrina il finestrino della 127. Il secondo non sortisce effetto. Prima che io capisca che diavolo sta succedendo il finestrino esplode e una mano cerca di aprire la portiera. A istinto la piglio a cazzotti. La mano scompare mentre la macchina si decide finalmente a partire.

«CHE ERA?!?» urlo «DOVE SIAMO, COS’E’ SUCCESSO?!?»
Grida frammentarie sconclusionate.
«SIAMO USCITI DALL’AUTOSTRADA, VOLEVO VEDERE BRESCIA, VOI DORMIVATE» spiega Ario pallido.
«CI SEGUE! QUELLO PRENDE LA MACCHINA, CI CORRE DIETRO!»
Guardo nello specchietto. E’ vero.
«Nebo, trova un modo per portarci in autostrada che quello ci ammazza»

Coperto di cocci di vetro non mi sembra il momento di fare domande. Guardo un cartello che passa, Fenil Scaroni. Cerco freneticamente nell’elenco alla fine della piantina, lo trovo. Quadrante 4, pag 45, Fenil… Fenil… trovato.
«Ho una brutta notizia» dico a denti stretti.